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L’Italia è un’elegante signora acciaccata con i segni del tempo sulla pelle, il trucco trascurato, ma con il viso ancora bellissimo. Così affascinante che persone di ogni nazionalità, età e religione attraversano il mondo per vederla e per scaldarsi il cuore con il suo sorriso. Un sorriso, da qualche anno a questa parte – purtroppo – contratto in una smorfia sofferente.

Per il premio nobel per la letteratura Gao Xingjian “la cultura non è un lusso, è una necessità”. Ma per le istituzioni italiane e i suoi vertici, la cultura nel nostro Paese non sembra meritare i primi posti negli ordini del giorno. Eppure potremmo fondare buona parte della nostra economia sul patrimonio tutelato dal MiBAC, se solo ci degnassimo di valorizzarlo a dovere.

Valle dei Templi (Agrigento)

Valle dei Templi (Agrigento)

Quello a cui assistiamo quasi quotidianamente è la trascuratezza dei luoghi di interesse archeologico, artistico e culturale – gli scavi di Pompei, per fare un esempio lampante – che invece di arricchire la nostra immagine all’estero la declassano irrimediabilmente. Se è vero che il 70% dell’antico Egitto è ancora sepolto sotto le sabbie del deserto, l’Italia non è da meno. Ovunque si scavi riemergono puntualmente reperti e installazioni del passato, come a ricordarci che c’è ancora molto da fare: una delle ultime è stata la scoperta di un’antica cattedrale incompiuta sotto alla torre di Pisa, venuta alla luce durante i lavori per il nuovo impianto di irrigazione del prato di piazza dei Miracoli. Oppure il cimitero del V secolo sotto gli Uffizi, o ancora le stanze segrete tornate alla luce ai piedi del Priamar, e così via.

Archiviata la patriottica quanto utopistica idea che il nostro Paese detenga la metà del patrimonio artistico mondiale (secondo l’UNESCO, con 49 siti d’interesse l’Italia – sebbene ai vertici – possiede meno del 6% del patrimonio artistico mondiale), la sfida che ci viene posta è come ottimizzare le nostre risorse culturali allo scopo di rendere quest’ultime fruibili ad un pubblico sempre più vasto.

Qualità prima di quantità, perché la vera cultura significa turismo e il turismo è – e deve essere, dal momento che ora come ora risulta un business colpevolmente trascurato – uno dei principali motori del nostro territorio. Occorre quindi pensare ad un massiccio intervento di restauro, riabilitazione e promozione culturale delle opere d’arte e dei monumenti simbolo del nostro Paese – anche, perché no, attraverso il patrocinio di mecenati privati – ponendoli una volta per tutte a misura di visitatore: abbattimento definitivo delle barriere architettoniche, azzeramento del degrado nei siti di interesse, più disponibilità di pacchetti vacanza turistico culturali a prezzi concorrenziali e agevolazioni, più notti bianche ai musei distribuite durante l’anno sull’intero territorio nazionale, un maggior numero di mostre con percorsi dedicati ai visitatori più piccoli, in modo da farli accostare a questo mondo che a volte rischia di risultare troppo noioso.

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Ma la cultura non è solo arte nel senso puro del termine. È anche letteratura, musica e spettacolo. Spazio quindi agli esordienti meritevoli, ai giovani che possono essere la cultura del domani: concorsi letterari gratuiti e sponsorizzati da grandi nomi – in collaborazione con case editrici non a pagamento, il tutto nel pieno rispetto del principio meritocratico – potrebbero facilitare l’emergere di una biblioteca inedita e ancora sepolta.

La cultura è anche folklore e tradizione, spesso questo un patrimonio in via di estinzione assaporato solo dal turismo di nicchia. Occorrerebbe dare più rilievo alle manifestazioni culturali proprie delle singole realtà che compongono la nostra penisola, svilupparle sul piano della promozione e dell’accessibilità, in modo da integrarle nel macrosistema italiano che spesso se ne dimentica e punta i riflettori solo sui luoghi di grande interesse.

Soffermiamoci un istante sul significato della parola cultura. La nozione deriva dal latino e significa “coltivare”, infatti alla cultura ci si addestra sin da bambini e cresce con noi nella misura in cui la curiamo. Per questo motivo è opportuno formare insegnanti propositivi e idonei a trasmettere ai propri allievi questa passione vitale (passione che tra gli italiani scarseggia). È vero che la maggior parte delle facoltà universitarie che oggi garantiscono un posto di lavoro sono a indirizzo economico-scientifico-ingegneristico, mentre le cosiddette lauree culturali ad indirizzo umanistico e artistico fanno galleggiare a malapena in un limbo di disoccupazione e precariato.

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Ma allora perché sono sempre di più i ragazzi e le ragazze che anche oggi continuano a scegliere queste facoltà, nonostante le aspettative tutt’altro che rosee? Probabilmente perché queste materie da cui moltissimi di noi si sentono irrimediabilmente attratti – non per nulla erano il pane quotidiano dei padri fondatori del nostro sapere – sono nel nostro DNA e nel nostro essere italiani. È necessario che queste facoltà e questi indirizzi di studio votati alla cultura vadano valorizzati in una scala di priorità consona. Così come è indispensabile la ricerca scientifica, così è importante la tutela e il potenziamento del patrimonio culturale e artistico in modo da permettere non solo a noi ma anche alle generazioni future di goderne e di conoscere, attraverso le stesse, la nostra storia e le nostre radici.

Se è vero, quindi, che i ripostigli e i magazzini dei musei sono zeppi di reperti e tesori nascosti questo è il momento di trovare loro una degna collocazione. La necessità di nuove infrastrutture idonee e di personale specializzato creerebbe così posti di lavoro, oltre al fatto che si aprirebbero le porte per nuove ondate di turismo. Il quale, a sua volta, porterebbe un indotto che potrebbe essere reinvestito nella conservazione dei beni culturali, nella creazione di borse di studio per brillanti universitari e ricercatori (in modo da non costringerli a fuggire all’estero) e in corsi di formazione per neolaureati da inserire nei diversi contesti museali e non.

Investire sulla cultura non è una perdita di tempo e di risorse. Lo è pensare che, anche senza alcun intervento, questa rimanga immutata. Perché esattamente come un affresco, un manoscritto miniato o una bobina cinematografica, anche la cultura come valore ha bisogno di essere protetto. Costantemente.