Tag
❈ Translate ❈ Français | English | Español | Deutsch
Nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918 Jakov Michajlovič Jurovskij, rivoluzionario russo, fu incaricato di occuparsi della preparazione, dello sterminio e del successivo occultamento dei corpi dello zar deposto Nicola II, della famiglia imperiale e dei suoi servitori.
Dopo la Rivoluzione di Febbraio – e in seguito al precipitare degli eventi che esclusero la possibilità di un espatrio almeno per la moglie e i cinque figli dell’ex sovrano – la famiglia Romanov venne detenuta dai bolscevichi a Casa Ipat’ev nella città di Ekaterinburg, ribattezzata “Casa a destinazione speciale“. Vi soggiornò 78 giorni.
Tra le undici e mezzanotte il commissario Jurovskij svegliò l’ex-zar e la famiglia, dando l’ordine di preparare i bagagli in vista di un fantomatico trasferimento in un luogo più sicuro. In realtà era solo un pretesto per condurli al pianterreno, in una stanza di legno stuccato (per evitare rimbalzi dei proiettili), da cui erano stati levati tutti i mobili e nella quale sarebbe avvenuta la mattanza.
Lo squadrone d’esecuzione comprendeva quattro bolscevichi russi e sette soldati ungheresi. Questi ultimi, prigionieri di guerra che non parlavano russo, erano stati scelti proprio per evitare la possibilità che si rifiutassero di sparare allo zar o risparmiare le sue figlie.
Con la scusa della necessità di immortalarli in una fotografia, Jurovskij indicò alla famiglia imperiale come disporsi nella stanza: seduti in prima fila c’erano Aleksandra Fëdorovna e Aleksej, accanto a loro Nicola e alle loro spalle le figlie; sui lati, invece, i membri del seguito. Nessuno di loro sospettava niente. Nel frattempo, nella camera accanto, il plotone era in attesa dell’ordine di Jurovskij.
Quando entrò la squadra, il commissario disse ai Romanov che in considerazione del fatto che i loro parenti continuavano l’attacco contro la Russia sovietica, il Comitato esecutivo degli Urali aveva deciso di giustiziarli. Nicola voltò le spalle alla squadra, volgendosi verso la famiglia, poi, come tornato in sé, si girò in direzione del commissario., chiedendo: «Come? Come?» […] Il commissario ripeté in fretta e ordinò alla squadra di puntare. Nicola non disse più nulla, si voltò di nuovo verso la famiglia, agli altri sfuggirono altre esclamazioni sconnesse. Tutto ciò durò alcuni secondi.
(E. Radzinskij, L’ultimo zar. Vita e morte di Nicola II)
Il primo a cadere fu Nicola II, poi toccò alla moglie, ai membri del seguito (il medico Dott. Botkin, l’inserviente Trupp e il cuoco Charitonov), ai figli Ol’ga, Tat’jana, Marija, Anastasija, Aleksej, e alla dama di compagnia Anna Demidova. Le urla e i pianti disperati confondevano gli uomini, che non riuscivano a prendere bene la mira.
A causa dello “scudo” di gioielli nascosti nei corsetti che le ragazze avevano portato con loro in vista della presunta partenza, tre figlie di Nicola non morirono all’istante. Rannicchiate in un angolo, terrorizzate e agonizzanti dalle ferite, vennero trafitte a colpi di baionetta e colpite col calcio dei fucili.

Ritratto ufficiale della famiglia imperiale realizzato dalla Compagnia Levitskij nel 1913. Da sinistra a destra, in piedi: la granduchessa Marija e la zarina Aleksandra Fëdorovna; seduti: la granduchessa Ol’ga, lo zar Nicola II, la granduchessa Anastasia, lo zarevič Aleksej e la granduchessa Tat’jana
L’esecuzione terminò dopo venti, lunghissimi minuti. Tuttavia al momento di trasportare i corpi sulla camionetta, i soldati si resero conto che alcune granduchesse era ancora vive e dovettero finirle con le baionette.
Le salme (tra cui anche quelle di Jimmy, il cane di Anastasija, e Ortino, il bulldog di Tat’jana), vennero trasportate nel vicino bosco di Koptiakij, chiamato La radura dei quatto fratelli, e lì occultate. Denudate, fatte a pezzi e gettate nel pozzo di una vecchia miniera, furono sciolte con acido solforico e infine date alle fiamme.
Il 20 luglio venne pubblicato a Ekaterinburg il decreto dell’eseguita esecuzione:
Decreto del Comitato esecutivo del Soviet degli Urali dei deputati operai, contadini e dell’Armata rossa. Avendo notizia che bande cecoslovacche minacciano Ekaterinburg, capitale rossa degli Urali, e considerando che il boia coronato, qualora si desse alla latitanza, potrebbe sottrarsi al giudizio del popolo, il Comitato esecutivo, dando corso alla volontà del popolo, ha decretato di procedere all’esecuzione dell’ex zar Nikolaj Romanov, colpevole di innumerevoli crimini sanguinosi.
(E. Radzinskij, L’ultimo zar. Vita e morte di Nicola II)
Il 30 luglio l’Armata Bianca arrivò ad Ekaterinburg e arrestò alcuni uomini dell’Armata Rossa che avevano partecipato indirettamente al crimine, dando inizio all’indagine.
A nulla valse lo sforzo del Soviet centrale di Mosca, che in seguito negò il massacro dell’intera famiglia, comunicando la sola fucilazione dello zar in un tentativo di fuga. Furono inutili anche i tentativi di Jurovskij e dei suoi uomini di nascondere ogni traccia dell’esecuzione di massa. Nel gelido bosco di Ekaterinburg gli 11 scheletri furono individuati sul finire degli anni Settanta, resi noti nel 1989 e riesumati nel 1991.
Nel 1974 Casa Ipat’ev, teatro dell’eccidio, diventò un monumento nazionale, ma poi fu demolita. Il 20 settembre 1990 il Soviet di Sverdlovsk consegnò il progetto alla Chiesa Ortodossa Russa per la costruzione di una cappella commemorativa, lì dove una volta sorgeva Casa Ipat’ev. La Cattedrale sul Sangue venne completata nel 2003.
Nel 2000 la famiglia Romanov ricevette la canonizzazione come vittima dell’oppressione dall’Unione Sovietica. Lo zar Nicola II, sua moglie e i loro cinque figli sono santi della Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia e portatori di passione della Chiesa Ortodossa Russa.
Da quella notte è passato quasi un secolo.
In tutto questo orrore spicca la figura della nipote della famosa regina Vittoria. La storia si ripete: quello della zarina Aleksandra è un trascorso tragicamente molto simile a quello di un’altra regina del passato, Maria Antonietta di Francia. Entrambe spose straniere (una tedesca e l’altra austriaca), fraintese dai loro sudditi e malvolute dai parenti acquisiti, devote alla propria famiglia e alla corona, accusate di connivenza col nemico, prigioniere e vittime di una rivoluzione. Ed entrambe martirizzate dai rispettivi Paesi molto tempo dopo la loro morte.
L’omicidio dei Romanov non ha solo cancellato un’era, ma soprattutto una famiglia e una storia d’amore, quella di Aleksandra e Nicola. Un amore forte, indissolubile, nonostante l’opposizione delle famiglie, i difetti di entrambi e l’incedere della storia.
Nonostante tutto e fino alla fine.
Altre fonti
- W.H. Chamberlin, Storia della rivoluzione russa
- C. Erickson, La zarina Alessandra: Il destino dell’ultima imperatrice di Russia
- V. Aleksandrov, La tragedia dei Romanov
Una vicenda che conosco bene e che ha8 riassunto con efficacia. Non sono assolutamente filo-zarista, ma quando ho visitato la fortezza a San Pietroburgo, dove i resti della famiglia imperiale sono inumati nella cattedrale Pietro e Paolo, devo dire che ne ho avuto una impressione di pace e dignità.
Sul posto vi è anche una interessante mostra corredata da molte foto d’epoca che non ho trovato riprodotte in alcun altro luogo.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Spero di poter visitare anche io San Pietroburgo prima o poi. Mi affascina molto :)
"Mi piace""Mi piace"
Pingback: La questione “Matilda” (e il culto dello zar in Russia) | Russaliana