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❝ Nei miei sogni da lavoratrice dipendente volevo che il Capo si facesse vivo prima delle otto perché avevo una gran voglia di tornarmene a casa, farmi un bel bagno caldo alla luce delle candele a forma di zucca e aspettare che Halloween passasse, come una sera qualsiasi. Ma sapevo benissimo che non sarebbe stato così.
Sarei tornata a casa, certo, ma solo per un rapido cambio d’abito e avrei lavorato fino all’alba, come tutti i trentuno ottobre degli ultimi cinque anni.
Sarei stata il folletto di Babbo Natale venuto in anticipo, e lo avrei aiutato a dispensare il dono più grande nella notte più suggestiva. Un dono riservato a bimbi molto ricchi, molto capricciosi e molto fortunati.
Se di fortuna, in questo caso, si può parlare ❞.

– Estratto dal romanzo Red Carpet (Editrice GDS) 

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❝ Non mi sono mai definita una brava persona.
Già nella pancia di mia madre strangolai la mia gemella col cordone ombelicale, all’ottavo mese di gravidanza. Ovviamente, come si premurarono di spiegare i medici, tutto fu assolutamente involontario. Una disgrazia, la prima di una lunga serie.
Ho ucciso centodiciannove persone nella mia vita. Centoventi, se calcoliamo quella sorella mai nata. Centoventuno, se includiamo quell’aborto da ragazzina. Centoventidue, se contiamo me stessa.
Amavo i drink. Più degli uomini, più delle donne, più di uccidere. E come io, puntualmente, andavo a dare la morte, un giorno la morte venne da me. Puntualmente anche lei, dopo il mio ennesimo cognac.
Quando il carcinoma epatocellulare iniziò a corteggiarmi, non ebbi il coraggio di respingerlo. Una storia col ragazzo sbagliato, insomma.
Riflessioni come queste di solito ti prendono mentre stai per morire. Agonizzante, sul letto di un ospedale o sul ciglio della strada mentre ti tieni le budella in mano invocando la mamma. Ma io ero sul tavolo dell’obitorio, già morta, e se avessi avuto la voce per invocare qualcuno lo avrei fatto per avere una sigaretta.
Com’è morire? Nel mio caso, veloce e molto doloroso. Com’è essere morta? Razionalmente a questa domanda non avrei mai dovuto rispondere.

Ricevetti un funerale religioso, sotto la copertura di un nome falso probabilmente selezionato a caso da un libro per bambini: Polly McNolly. Polly. Un nome da troietta adolescente.
Potevo sentire le litanie stonate del coro di campagna di Southampton dalla mia bara in noce e i finti pianti delle comparse in prima fila. Davvero un bel teatrino. Nel mio vestito nero di taffetà, vaporoso come una nuvola carica di tempesta, aspettavo il fatidico suono che ogni salma si meriterebbe: terra, terra a palate sulla propria cassa. E così avvenne, con una decina di fragorose badilate.
Chiesi al destino quando sarebbe finito lo scherzo. Ero morta da settantadue ore e non ero ancora precipitata tra le fiamme dell’inferno.
Qualcosa era andato storto ❞.

– Estratto dal racconto “Nelle ombre” (Asylum 100, ST-Books)

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