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bellezza, bianco e nero, estate, Pensieri, pioggia, semplicità, serenità, speranza, temporale, vita
05 lunedì Giu 2017
Posted Pensieri
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14 martedì Feb 2017
Posted Arte ~ Cultura
inNella morte tutto finisce, tranne l’amore.
Qui riposa Jean, mio marito.
Era la perfezione.
Renee, 1909
– Cimitero di Père-Lachaise, Parigi. Tramonto del giorno di Natale 2015.
10 giovedì Nov 2016
Posted Arte ~ Cultura
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arte, bellezza, blog, borse, comunicato stampa, made in italy, moda, Reggia Collection, reggia di caserta, storia, vodivì
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Ci sono progetti che nascono grandi, con un’anima nobile e una missione altrettanto encomiabile. Uno di questi è Reggia Collection.
Si tratta di una collezione di borse e accessori realizzata da VODIVÌ – pregiata casa di moda votata al Made in Italy con sede in Umbria – in collaborazione con la Reggia di Caserta, nata proprio per dare visibilità a questa inestimabile risorsa culturale italiana.
La famosa facciata della Reggia è stata impressa con uno stampo a rilievo sul lato esterno di ogni accessorio e arricchita di uno sbaffo d’oro: oro che ritroviamo nella stanza del trono e negli ambienti preziosi di quest’opera unica al mondo che qualche mese fa ho avuto il piacere di visitare.
Per promuovere una conoscenza della Reggia diversa dall’usuale, a ogni accessorio dal nome evocativo è stato abbinato un pacchetto che comprende un itinerario turistico a questa dedicato, un’intervista con il direttore Mauro Felicori per far conoscere storie e aneddoti unici e affascinanti, e una photo-gallery per mostrare il Palazzo Reale da una diversa prospettiva.
Un omaggio a tutto tondo, insomma, che tiene conto di bellezza, arte, storia, cultura, moda, lusso, riscoperta del territorio e turismo sostenibile.
AMALIA: una pochette regale, elegante e non convenzionale creata in onore della regina Maria Amalia, moglie di Re Carlo di Borbone.
LUIGI: porta iPad che ha il nome di Luigi Vanvitelli, genio rivoluzionario dall’animo concreto ed instancabile, padre dell’Architettura Neoclassica; fu colui che progettò la nuova città di Caserta, di cui la Reggia ne era il fulcro.
ASTREA: borsa/porta iPad ispirata alla sala omonima. Prende il nome dal dipinto della volta “Il trionfo di Astrea” che, secondo la mitologia, era la dea presente sulla terra nell’età aurea dell’umanità. Tale sala fungeva da anticamera per i gentiluomini di carriera, ambasciatori, segretari di stato e di altre persone privilegiate.
Allo scopo di promuovere Reggia Collection in tutto il mondo e avvicinare l’arte alle persone, VODIVÌ ha lanciato una campagna internazionale di crowdfunding che terminerà domenica 4 dicembre 2016: si può contribuire al progetto QUI acquistando gli accessori che compongono la collezione, oppure versando una piccola somma simbolica.
Grazie a questa iniziativa sarà possibile aumentare la visibilità della Reggia di Caserta, ma anche realizzare qualcosa di concreto. Infatti una parte dei fondi raccolti sarà destinata al restauro delle sedie del foyer, per preservare la bellezza di un luogo unico: il teatro di corte.
Reggia Collection è tutto questo: un’ottima occasione per sostenere la tradizione artigianale di qualità Made in Italy e, allo stesso tempo, essere i mecenati di uno dei Patrimoni UNESCO più prestigiosi d’Italia.
29 lunedì Ago 2016
Posted I miei viaggi
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arte, bellezza, blog, Campania, Caserta, Ercolano, estate, Gubbio, italia, italy, meraviglioso, Napoli, passato, Pompei, storia, Umbria, vacanze, viaggi, viaggiare
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Quel che noi abbiamo di meraviglioso, a volte, ce lo scordiamo.
È dietro l’angolo, comodo, spesso troppo snobbato. Cerchiamo altrove quel che può farci felici qui, e più lontano del necessario ciò che può riempirci gli occhi di stupore e condizionarci negli anni a venire.
È successo che ho fatto il pieno di meraviglia. E adesso ve lo racconto.
Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova agli Scavi Archeologici di Ercolano.
“È strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato”. (A. Roy)
Ercolano è una bolla immobile di passato congelata nella roccia vulcanica. È una fossa ferma a duemila anni fa contornata, più su, dal presente: case, strade, persone, vite frenetiche, funzioni religiose e civili che si susseguono tra gli impegni di tutti i giorni. Come sopra, così sotto. Sotto, però, si respira polvere e storia.
Ercolano è intima, silenziosa. Una pace quasi irreale si muove tra le mura rimaste. Mentre si passeggia, ci si ascolta e non si può fare a meno di pensare. Si pensa tanto, laggiù tra le colonne.
Passo dopo passo ci si accorge, tra le macerie, dei giardini pieni di alberi da frutto e dell’arte ancora aggrappata alle pareti.
La morte è confinata là dove una volta sorgeva la spiaggia. Gli scheletri che lì riposano appartengono molto probabilmente agli ultimi: servi e schiavi che non hanno avuto la possibilità di seguire i loro padroni in fuga sulle navi. Furono circa trecento le vite cancellate 1937 anni fa nella sola Ercolano: nella notte del 24 agosto del 79 d.C., almeno secondo una lettera di Plinio il Giovane a Tacito, il soffio rovente del Vesuvio macinò in una manciata di minuti i chilometri che lo separavano dalla cittadina, cancellandola.
Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova agli Scavi Archeologici di Pompei, la “sorella maggiore” di Ercolano.
“Io sono madre della natura, la signora di tutti gli elementi, la regina dei morti, la prima dei celesti. Gli Egizi mi chiamano con il mio vero nome, Iside Regina”. da Lucio Apuleio, Le metamorfosi (libro XI, V) – Tempio di Iside (Pompei)
Più estesa, più imponente, più tragica. Sole a picco, caldo torrido, un deserto di rovine che non finisce mai, molto del quale giace ancora sotto la superficie. È un dedalo di terra, pietre e cenere diventata roccia. Si passeggia sulle strade dove centinaia di persone – duemila anni fa – hanno passeggiato in pace; le stesse dove poi sono scappate in preda al terrore. Non mancano i brividi quando la mente se ne rende conto.
L’archeologia ricostruttiva messa in atto a Pompei ha permesso al passato di tornare vivo: analizzando i resti delle radici impiantate all’interno della cinta muraria, la tipologia di vigneto scoperta è stata ricollocata lì dove una volta si trovavano gli antichi paletti. Oggi le vigne vengono coltivate secondo il metodo usato dalla popolazione vesuviana, senza pesticidi né l’ausilio di macchinari moderni.
Dall’uva si produce il rosso Villa dei Misteri, un’eccellenza e un patrimonio unico. 1500 bottiglie l’anno, l’annata 2007 è quella attualmente in commercio. Forse una delle cose più affascinanti in cui sia mai incappata.
Si sente ancora strisciare l’ombra della morte, a Pompei: succede quando l’occhio incappa sui corpi pietrificati dei bambini, degli adulti protesi a proteggerli, dei cani, nella pagnotta di pane carbonizzata conservata dentro una teca insieme ad altri alimenti. È impossibile non immedesimarsi.
Avevamo appena fatto in tempo a sederci quando si fece notte, non però come quando non c’è luna o il cielo è ricoperto da nubi, ma come a luce spenta in un ambiente chiuso… molti innalzavano le mani agli Dei, nella maggioranza si formava però l’idea che ormai gli Dei non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l’ultima al mondo. – dalla seconda lettera di Plinio il Giovane a Tacito.
Abitazioni anguste, pitture immense, templi, taverne, bordelli, teatri… Quando si entra nelle case per vedere cosa il vulcano ha risparmiato, viene quasi da chiedere permesso.
16 chilometri percorsi a piedi in quasi sette ore di visita, ma sarei rimasta lì il doppio. Troppi tesori in ogni angolo, troppo poco tempo. È stato uno degli arrivederci più sofferti.
Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova alla Reggia di Caserta sulle tracce, come sempre, di Maria Antonietta di Francia (ma anche di Star Wars, perchè no?). Stanze sfarzose, giardini, fontane e ruscelletti strizzano l’occhio alla Versailles che adoro.
Orologio nella Stanza da lavoro della Regina. Un dono di Maria Antonietta di Francia alla sorella Maria Carolina regina di Napoli. C’è un po’ di Parigi anche qui ♡
Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova a Gubbio.
La più bella città medievale, recita il cartello che da il benvenuto. Ed è vero. Abbarbicata, con le romantiche viuzze di sasso, il profumo di cibo che sale mentre il sole scende e gli odori umbri che si mescolano nel vento, la magia eterna di un castello arroccato.
Una chicca: quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova a Recanati.
Passeggiare tra le vie di questo paesino al tramonto o la sera, quando la luna è alta, è qualcosa di estremamente suggestivo. Ovunque si respira e si legge poesia, dai muri delle case alle insegne nelle piazze, sulle vetrine dei negozi, sulle porte delle scuole, nei giardini, sulle luminarie che addobbano i viali per le feste estive.
Si scorge davvero l’infinito sulla terrazza del Monte Tabor. Il mio consiglio è quello di visitare Recanati dopo aver visto il film Il giovane favoloso che ripercorre la vita di Leopardi: alla fine dei titoli di coda, ve lo assicuro, sarà semplicemente Giacomo.
Negli ultimi anni della sua vita, Leopardi si trasferì a Napoli e poi in una villa a Torre del Greco per sfuggire a un’epidemia di colera. Lì compose la sua penultima lirica, La ginestra, ispirata da un’eruzione del Vesuvio a cui il poeta assistette e in cui inserì una riflessione sulla desolazione dell’antica Pompei. E così, per me, è quasi come chiudere il cerchio di questo viaggio favoloso.
Torna al celeste raggio
Dopo l’antica obblivion l’estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all’aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Ch’alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell’orror della secreta notte
Per li vacui teatri, per li templi
Deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per voti palagi atra s’aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l’ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.
Quel che noi abbiamo davvero di meraviglioso è la possibilità di viaggiare, fare esperienze, costruire ricordi e soprattutto condividere questi momenti insieme alla persona giusta. Non c’è ricchezza più grande, né soddisfazione maggiore.
Trovate la vostra persona, trovate i vostri luoghi. Forse non esiste augurio più bello. :)
27 lunedì Giu 2016
Posted I miei viaggi
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arte, bellezza, blog, christo, consigli, lago di iseo, The Floating Piers, viaggi, viaggio
The Floating Piers è considerato uno degli appuntamenti imperdibili del 2016 a livello mondiale. Land art dell’artista Christo – pensata e sognata per anni insieme alla moglie scomparsa – reinterpreta il Lago di Iseo in una chiave completamente inedita.
Si cammina per 4,5 chilometri su 70.000 metri quadri di tessuto giallo dalia che all’alba – complice l’umidità – tende al rosso mentre al tramonto sembra una lamina d’oro. L’installazione si compone di 200.000 cubi in polietilene ad alta densità e si sviluppa a pelo d’acqua da Sulzano a Monte Isola fino a “circumnavigare” l’isoletta di San Paolo, di proprietà della famiglia Beretta: le passerelle seguono il movimento delle onde, cullano chi le attraversa, ballano docili al ritmo della corrente.
L’esperienza è mozzafiato. Come Dorothy ne Il Mago di Oz, il primo passo sul sentiero dorato è onirico; mentre si cammina, quasi non si riesce a pensare. La bellezza e il panorama prendono il sopravvento. Il passo a volte è incerto a causa dei lievi sobbalzi: rientra nel gioco a cui si è scelto di giocare. Ci si ferma, ci si guarda intorno. Si ha la netta sensazione di far parte di qualcosa di unico. Di qualcosa che, una volta vissuto, non si dimenticherà mai più.
Come tutte le cose belle, The Floating Piers è un’opera destinata a sparire. Sarà visitabile solo fino a domenica 3 luglio. L’artista ha già confermato che non vi saranno proroghe e che il progetto non verrà mai più replicato in nessuna parte del mondo.
Nonostante il grande afflusso di turisti previsto per il weekend e il meteo incerto (per ragioni di sicurezza le passerelle possono essere chiuse senza preavviso nel caso di maltempo o vento forte), non mi sono fatta scoraggiare.
Nel pomeriggio di sabato 25 giugno sono partita alla volta del Lago di Iseo: l’obbiettivo era arrivare tra il tramonto e il crepuscolo per visitare The Floating Piers sia con gli ultimi raggi di sole sia con le luci artificiali (e sotto le stelle). Missione compiuta! :)
Con qualche piccolo accorgimento sono riuscita a evitare le interminabili code da cui i media ci hanno messo in guardia.
Spero che questi consigli, basati sulla mia personale esperienza, possano esservi d’aiuto. Non fatevi scappare l’occasione di far parte di un’opera d’arte e camminare sulle acque in uno dei luoghi più suggestivi del nostro paese.
22 mercoledì Giu 2016
Posted Arte ~ Cultura
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arte, bellezza, blog, book, gioconda, gurlitt, la corte, libri, munch, musei, seconda guerra mondiale
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Uno dei film più intensi mai girati che parla d’arte e dei mille sentimenti che ruotano attorno a essa è La migliore offerta di Giuseppe Tornatore. Una pellicola che incarna in toto la massima di Oscar Wilde – più profonda di quanto sembri – per cui tutta l’arte è completamente inutile.
L’arte è bella da vedere e (purtroppo) anche da rubare.
Secondo un articolo di Maria Teresa Carbone, negli ultimi anni i furti d’arte sarebbero diventati la terza o la quarta forma di traffico illegale, dopo la droga, le armi e il riciclaggio del denaro sporco: il mercato nero nel campo dell’arte e dei beni antiquari si aggirerebbe intorno ai cinque miliardi di dollari l’anno. Una curiosità: Rembrandt e Renoir sembrano essere fra i pittori più amati dai ladri di opere d’arte di tutto il mondo.
Solo in Italia, secondo una ricerca dell’Eurispes che risale al 2003, negli ultimi vent’anni si sono verificati circa 39 mila furti a danno dei beni culturali: più colpiti i privati (oltre 20 mila casi) e le chiese (circa 15 mila furti), mentre le rapine a danno dei musei non superano il migliaio.
Nella storia dei furti di opere d’arte il caso più eclatante è sicuramente quello della Gioconda.
Scomparve dal Louvre nel 1911 e venne ritrovata due anni dopo a Firenze, sotto il letto dell’imbianchino Vincenzo Peruggia che avrebbe voluto vendere la Monnalisa alla Galleria degli Uffizi. Affermò che la sua era stata un’azione patriottica e che secondo lui l’Italia avrebbe saputo valorizzare maggiormente l’opera rispetto ai cugini d’oltralpe: ignorava che Leonardo l’aveva sì dipinta in Italia ma poi l’aveva venduta a Francesco I di Francia, rendendo così il dipinto legittimamente di proprietà francese.
Basta fare un piccolo passo indietro nella storia per rendersi conto che il repertorio del patrimonio artistico italiano disperso all’epoca del Secondo Conflitto Mondiale è sterminato.
Si stima che milioni di oggetti d’arte siano stati sequestrati e portati nei territori del Terzo Reich durante i primi anni della guerra; molti di questi sono poi finiti nelle mani dell’Armata Rossa durante la caduta di Berlino: si parla del Ritratto di giovane ignoto di Botticelli, quadri e disegni del Parmigianino, Mantegna, Tintoretto, Vasari, Raffaello, Canaletto…
Caso Gurlitt a parte (un vecchietto solitario di Monaco che nel 2012 venne sorpreso vivere circondato da 1406 dipinti, di cui 121 incorniciati, sottratti agli ebrei negli anni del nazismo), di molti capolavori si è persa ogni traccia; potrebbero essere appesi nel salotto di qualche famiglia bene (e più o meno ignara del loro valore), oppure giacere in un qualche caveau o addirittura essere stati distrutti.
Cinque milioni di opere d’arte, però, sono state recuperate.
Fino al 1945 un manipolo di trecentocinquanta uomini tra ufficiali dell’esercito americano e britannico – ai quali si aggiunsero studiosi d’arte e anche direttori di musei – si mobilitò per salvare e in seguito anche rintracciare gli innumerevoli capolavori messi a rischio dai bombardamenti o trafugati dai nazisti: basti pensare alla Dama con l’ermellino di Leonardo, l’Astronomo di Vermeer, La ronda di notte di Rembrandt o alla Madonna di Michelangelo della cattedrale di Bruges. È grazie a loro se, oggi, possiamo godere di queste meraviglie dell’arte.
➺ Cosa leggere sull’argomento: Operazione Salvataggio, Siviero contro Hitler e L’orologio di Orfeo
➺ Cosa guardare sull’argomento: Woman in Gold e Monuments Men
Ma tra i dipinti rubati in epoca moderna dopo le razzie della Seconda Guerra Mondiale e mai ritrovati (almeno fino ad oggi), figurano titoli eccellenti e quantomai preziosi. Eccone alcuni.
Il 18 marzo 1990 due persone vestite da agenti di polizia riuscirono a entrare nell’Isabella Stewart Gardner Museum di Boston, legare le guardie e rubare il Rembrandt insieme ad altre dodici opere d’arte per un valore stimato in 500 milioni di dollari. Sul sito dell’FBI è tuttora presente una scheda esplicativa sul furto: il Museo offre una ricompensa di 5 milioni di dollari a chiunque dovesse ritrovare la refurtiva.
Nel 1969 la tela del valore di oltre 30 milioni di euro fu facilmente trafugata a Palermo dal momento che non c’era alcuna misura protettiva all’interno dell’oratorio dove veniva conservata. Nel 2009 un pentito di mafia dichiarò che probabilmente il quadro era stato bruciato o addirittura mangiato dagli animali in una stalla in cui era stato nascosto. Tuttavia le informazioni portano all’idea che l’opera non sia mai rientrata nel mercato nero dell’arte e non sia stata venduta.
I due capolavori realizzati da Van Gogh furono rubati al Van Gogh Museum di Amsterdam il 7 dicembre 2002 insieme ad altri dipinti poco prima che il museo aprisse al pubblico. I ladri utilizzarono una scala per arrampicarsi fin sopra il tetto e da lì si calarono all’interno, evitando tutti i sistemi di sicurezza. Entrambe le opere sembrerebbero invendibili.
Aggiornamento: questi due dipinti sono stati ritrovati a Napoli nel 2016 grazie a un’operazione della Guardia di Finanza.
Questo quadro è scomparso nel 2012 dal Kunsthal Museum di Rotterdam insieme ad altre opere di altissimo valore tra cui capolavori di Matisse, Picasso e Gauguin. Considerato invendibile da parte dei ladri che lo hanno sottratto, si pensa sia stato bruciato insieme agli altri dalla madre di uno dei componenti della banda. Nel suo forno di casa sono state rinvenute ceneri compatibili oltre a resti di colore e tela. Ma gli inquirenti non escludono l’ipotesi di depistaggio.
Dal Museo nazionale di Svezia a Stoccolma, il 22 dicembre 2000, vennero trafugati oltre all’Autoritratto di Rembrandt anche due tele di Pierre-August Renoir tra cui Giovane Parigina. Finora delle tre opere rubate è stata recuperata solo Il giardiniere di Renoir. Gli altri due, nonostante siano invendibili, non sono stati ancora rintracciati.
I ladri erano tre. Con pistole e mitra alla mano hanno fatto irruzione nel museo nell’ora di chiusura e hanno staccato le tele dai muri sotto gli occhi dei numerosi testimoni attoniti. Saliti su una piccola imbarcazione attraccata nelle vicinanze hanno fatto perdere le loro tracce. Una via di fuga studiata che ha fatto subito pensare a un commando armato di professionisti: l’acqua non ghiacciata e il buio hanno aiutato i tre a sparire nel nulla.
La notte di Capodanno del 2000, al museo Ashmolean di Oxford, venne rubato questo capolavoro di Paul Cézanne per un valore stimato intorno ai 3,5 milioni di euro. I ladri si erano arrampicati sui tetti del Dipartimento di Storia dell’Arte dell’Istituto di Archeologia e da lì erano giunti al lucernario dell’Ashmolean. Imitando la tecnica dei ladri che in Olanda avevano rubato i Van Gogh, scelsero di calarsi dall’alto evitando in toto gli allarmi.
Così come per la Gioconda, fortunatamente esistono altri lieto fine. È il caso della versione del 1910 de L’Urlo di Munch, sottratto per ben due volte dal Museo di Oslo in Norvegia.Il 12 febbraio 1994, nello stesso giorno dell’inaugurazione dei XVII Giochi Olimpici Invernali, dei ladri rubarono il capolavoro in cinquanta secondi lasciando al suo posto un biglietto: “grazie per le misure di sicurezza così scarse“. L’opera venne poi ritrovata nei tre mesi successivi in un albergo di Åsgårdstrand.
L’insolente avvertimento non venne accolto dai responsabili del museo.
Dieci anni dopo, il quadro valutato 54 milioni di euro venne rubato ancora insieme ad un altro intitolato La Madonna. Il 22 agosto 2004 due uomini armati e mascherati entrarono nel Museo Munch e in pochi minuti rubarono le due opere del famoso artista. Erano appese alla parete del museo con dei semplici fili, senza barriere protettive. Non suonò nessun allarme e i banditi si allontanarono indisturbati a bordo di un’auto in attesa all’esterno del Museo.
Entrambi i quadri furono recuperati il 31 agosto 2006 dalla polizia norvegese. Dopo un meticoloso restauro necessario per sanare i danni causati dall’umidità, dal 2008 sono tornati a far parte dell’esposizione. Si spera in maniera definitiva.
➺ Cosa leggere sull’argomento: Il furto dei Munch
Il 5 aprile 2004, un commando mette a segno una spettacolare rapina alla banca di Stavanger, in Norvegia. Il 24 agosto 2004, dal Museo Munch di Oslo vengono sottratti i celebri dipinti L’Urlo e la Madonna. Due fatti apparentemente non correlati, ma che trascineranno il lettore in una vertigine di intrighi, pericoli e misteri, portandolo nel cuore del mondo del mercato nero dell’arte e della musica.
Quando i dipinti scompaiono, infatti, lasciando dietro di sé una scia di morte, Agata Vidacovich, coinvolta nel traffico d’arte, tenterà di venire a capo dell’intricata vicenda, mettendo a dura prova le proprie certezze. Sposata con un pianista di fama internazionale che ha ormai rinunciato alla propria carriera e a cui ha sempre mentito riguardo alla propria vera vita, Agata si ritroverà costantemente sul filo del rasoio, costretta a mettere a repentaglio tutto quello che ha di più di caro per venire a capo di questo mistero. Dove sono finiti i quadri?
Un thriller avvincente, che si snoda tra Milano, Oslo e Trieste e che tiene il lettore col fiato sospeso fino all’ultima pagina.
08 mercoledì Giu 2016
Posted Arte ~ Cultura
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Quieti, sospesi nel tempo, immutati, inglobati nella vegetazione, custoditi dai gatti che – come vuole la tradizione – stanno un po’ di qua e un po’ di là.
Per quanto siano luoghi dedicati al ricordo e al cordoglio, i cimiteri – soprattutto i più antichi – non sono necessariamente mete tristi. Molti oggi sono giardini e riserve naturali; tanti conservano segreti e leggende vecchi di cent’anni e più. Ma non solo. Passeggiare in certuni non è così diverso dal visitare un museo.
In particolare, quelli costruiti tra il 17° e il 18° secolo sono ammantati da un velo di mistero irresistibile: come ogni dipinto che si rispetti sono ricchi di simboli nascosti che ci narrano una storia celata sotto quella che mostrano apertamente.
In tutte le culture del mondo e fin dalla notte dei tempi, il simbolismo ha dato la possibilità di raccontare (e racconta tuttora) ciò che non si poteva esprimere a parole: aspettative riguardo la vita nell’aldilà, buoni auspici, rappresentazioni virtuose dei trapassati, i dolori e le speranze di chi è rimasto… insomma, miriadi di storie mute e dettagli silenziosi scolpiti nella pietra.
A noi che visitiamo i cimiteri monumentali per omaggiare con un fiore il nostro scrittore o compositore preferito, alcune sculture – a volte vere e proprie opere d’arte – potrebbero sembrarci un mero ornamento, tuttavia non è così. Ogni cosa ha un significato nascosto. Ogni luogo, anche quello che sembra il più lugubre, può celare bellezza e speranza.
✥ TESCHIO ALATO
Popolare specialmente tra il 17° e il 18° secolo, il teschio alato simboleggia la fugacità della vita e l’anima che si eleva nell’aldilà. ✥ CLESSIDRA ALATA
Simile al teschio alato, la clessidra con le ali aperte indica la rapidità con cui scorre il tempo. Il movimento della sabbia contenuta nella clessidra è verso il basso e può simboleggiare il ritorno dell’uomo alla terra. Inoltre le due parti della clessidra passano reciprocamente da una dimensione di pienezza e una di vuoto.
Qui il tempo che vola (e con lui la vita) viene rappresentato in modo letterale: le ali sono simbolo del movimento e del cambiamento di stato. Alati sono i piedi di Mercurio o Ermes, accompagnatore del anime dei morti nella cultura greco-romana. Hanno ali Thanathos e Hypnos, così come i demoni e gli angeli.
✥ MANI CHE SI STRINGONO
Le mani sono molto comuni sulle tombe: possono puntare verso l’alto come ad indicare il Paradiso, oppure verso il basso alla stregua di un messaggio divino per chi ancora cammina sulla terra. Spesso due mani raffigurate nell’intento di stringersi rappresentano un ultimo saluto, specialmente sulle tombe di una coppia sposata quando uno dei due coniugi è venuto a mancare mentre l’altro è rimasto.
✥ TORCIA ROVESCIATA
Una torcia rovesciata con la fiamma rivolta al terreno simboleggia la vita dopo la morte: indica che l’anima sta ancora bruciando nell’aldilà.
✥ COLOMBA
Presente per lo più sulle tombe di donne decedute ancora giovani, la colomba rappresenta pace, dolcezza e purezza. A volte viene rappresentata nell’atto di ascendere al cielo, oppure scolpita mentre giace morta se la dipartita della persona cara è avvenuta improvvisamente. Nella tradizione cristiana la colomba è simbolo dello Spirito Santo.
✥ ROSA SPEZZATA
Il fiore della rosa – oltre a essere un simbolo mariano – simboleggia l’età della donna quando è venuta a mancare. Se si tratta di un bocciolo o di una rosa in piena fioritura e lo stelo spinato è spezzato, significa che la ragazza è morta prematuramente.
✥ TRONCO D’ALBERO
Le tombe realizzate con la forma di un ceppo d’albero simboleggiano una giovane vita recisa all’improvviso.
✥ GRANO
Portatore dei misteri della vita che rinasce nel seme che muore, alimento base per millenni, nell’Antico Egitto era simbolo di resurrezione legato al dio Osiride, divinità degli inferi e dell’agricoltura. ll grano, insieme ad altri simboli come le foglie di quercia, rappresenta una lunga vita e ciò che è stato raccolto dalla Mietitrice una volta giunto il momento.
✥ AGNELLO
Il biancore del suo manto e la sua fragilità ne fanno un simbolo d’innocenza e di purezza. Generalmente presente sulle tombe dei bambini, nella tradizione cristiana può essere anche un riferimento a Gesù, l’Agnello di Dio.
✥ LIBRO APERTO
Rappresenta il libro della vita, l’amore della persona per la letteratura, o può essere un riferimento alla Bibbia. Il libro aperto simboleggia l’apertura del cuore a Dio, nonché tutte le azioni meritevoli di memoria compiute nella vita della persona defunta.
✥ URNA DRAPPEGGIATA
Molto comune nei cimiteri dell’epoca Vittoriana, rappresenta la separazione tra i vivi e i morti. Il drappo o velo simboleggia una sorta di sudario protettivo per l’anima, oltre ad essere un’iconografia di ispirazione classica della morte.
✥ CANCELLO APERTO
La porta è un motivo che ricorre con una certa frequenza nell’arte funeraria occidentale, dall’epoca etrusco-romana al XIX secolo.
Cancelli aperti simboleggiano il passaggio nel Paradiso, la partenza dalla terra dei vivi per raggiungere l’aldilà. Nel mondo cristiano potrebbero rinviare all’idea dell’attesa del giudizio: il morto è statico, ma in una dimensione provvisoria di attesa. La porta non completamente chiusa sembra anche simbolicamente spezzare l’unidirezionalità che la morte impone alla vita, sottolineando l’idea di una possibile comunicazione tra i due mondi.
Questi sono solo alcuni esempi dei tanti espedienti narrativi dei nostri predecessori: potreste imbattervi senza difficoltà in raffigurazioni di cani, cigni, cicogne, barche, cipressi, catene, conchiglie, cornucopie, lucerne, gigli, melograni, serpenti e così via, oltre che a continui rimandi alla cultura greco-romana, etrusca e all’Antico Egitto.
Noi – abituati a tombe semplici dove campeggia una fotografia, un paio di date e a volte una frase standardizzata – potremmo guardare alle costruzioni della borghesia dell’Ottocento come a qualcosa di bizzarro e pomposo.
Eppure il cimitero, come già notava il sociologo Jean-Didier Urbain, rappresenta una risorsa inestimabile, “una sorta di enorme biblioteca, dove si possono consultare le biografie di migliaia di persone, i loro alberi genealogici, cercare informazioni sulla storia economica, politica e culturale di una città o di una nazione, e sfogliare i volumi enciclopedici della loro storia dell’arte e del costume“.
La prossima volta che capiterete in una di queste città ottocentesche dei morti, fermatevi un istante tra i suoi sentieri: guardate cosa tiene in mano quell’angelo, cosa indica quel putto, da che è parte è voltata quella statua, quali fregi compaiono vicino agli epitaffi.
“Dead men tell no tales”. I morti non raccontano storie, dicono. Ed è vero, le sussurrano. Voi sapete ascoltare?
Fonti - A Graphic Guide to Cemetery Symbolism - Dizionario dei simboli funerari
25 venerdì Mar 2016
Posted Arte ~ Cultura
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animali, animali fantastici, art, arte, bellezza, Ellen Jewett, fantasia, fantasy, harry potter, natura, scultura
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No, no, aspettate un secondo: oggi non voglio parlarvi del famoso libro di J. K. Rowling – l’autrice del maghetto Harry Potter – e del suo adattamento cinematografico, ma delle creature che abitano la mente di Ellen Jewett, che prendono forma sotto le sue dita e che sembrano uscite da una foresta fatata.
Partiamo per un mondo incantato, vi va? :)
Alberi e animali sono sempre stati la superficie su cui gli esseri umani hanno inciso le fondamenta della propria cultura, sostentamento e l’identità. Le sculture di Ellen si rifanno alla passione dell’artista per il regno animale e vegetale anche se strizzano l’occhio ai sogni e all’immaginazione più magica. Alcune – addirittura – sembrano le personificazioni delle stagioni: palchi di ghiaccio, corna floreali, code di boccioli.
Ogni forma tridimensionale è costruita a mano sovrapponendo diversi strati di materiale gli uni sugli altri in modo da formare un accumulo di minuscoli componenti.
Molti di questi componenti sono rappresentazioni microcosmiche di piante, animali e oggetti, talvolta fusi insieme. Alcuni sono semplicemente belli, altri grotteschi. La singolarità di ogni scultura è la somma totale delle sue piccole strutture narrative.
Ellen gioca con la forza di gravità – come se la fauna che ricrea non avesse peso – con le proporzioni, con le rifiniture.
Sui manti delle volpi che paiono nate da un fiocco di neve – ma anche sopra quelli di rinoceronti, tartarughe e lupi – abbondano i colpi di pennello e le impronte digitali dell’artista stessa.
Ogni dettaglio modellato con precisione certosina in realtà è ottenuto da piccoli istanti di caos. All’interno di questo serraglio etereo vengono esplorati temi come la bellezza naturale, la curiosità, il colonialismo, l’addomesticamento, la morte, la crescita, la visibilità e l’essere selvatico.
L’artista non utilizza argilla, vernici, smalti e altri additivi che possono essere tossici. La scelta etica di Ellen inevitabilmente esclude la maggior parte di ciò che è comunemente disponibile in commercio; per ovviare al problema si è vista costretta a sperimentare ed esplorare fino a trovare il giusto connubio tra invenzione e materiale naturale.
Tutto ciò le ha permesso di realizzare opere meravigliose che non solo parlano della natura ma che ne fanno addirittura parte, talmente curate da farci riflettere sul fatto che – forse – in un altra realtà, questi animali leggendari esistono davvero.
01 martedì Set 2015
Posted Arte ~ Cultura
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Quando c’è di mezzo una cornice è logico pensare che l’arte stia soprattutto nella tela che essa racchiude. Ma questo principio non vale quando si parla delle opere di Darryl Cox.
Darryl è un visionario e un surrealista. Con i suoi lavori spezza la consuetudine che la cornice sia il limite del quadro, la sua fine nello spazio, e – anzi – la ribattezza come suo punto d’origine.
A volte – dice lui nella biografia del suo sito ufficiale – ignora completamente le convenzioni e i preconcetti artistici quando si appresta a modellare un pezzo. Attinge ispirazione da materiali umili e crea, tutto qui. Gode della possibilità illimitata di sperimentare e si lascia guidare dalle emozioni, come quando si mette tra le mani di bambino un pezzo di creta. Non si sa cosa ne verrà fuori.
La sua vita è un’altalena tra lo scovare le cornici più particolari e uniche (alcune hanno addirittura più di un secolo) e trascorrere giornate nella foresta del Central Oregon alla ricerca del pezzo di ramo o di tronco giusto da fondere col telaio: Central Oregon Manzanita, Juniper, Aspen, Willamette Valley Filbert e California Grapevine sono alcuni dei suoi legni preferiti.
Ogni progetto prevede la lavorazione del legno, la pittura e un po’ di scultura. Spesso applica materiali usurati dal tempo e dunque carichi di memorie come ottone, ferro, bronzo, cuoio e vetro. Dedica ore a modellare una cornice, in modo da unire l’elemento naturale a quello artificiale.
I suoi pezzi d’arte sono unici, onirici, fantasiosi, nostalgici.
Non si può rimanere impassibili davanti a questi capolavori.
Anche se le sue opere regalano emozioni diverse, l’obiettivo (e la speranza) di Darryl è che l’osservatore riesca a contemplarne il loro significato nascosto e trarne un momento di serena tranquillità.
Darryl ci narra una storia fatta di cornici e tronchi che, insieme, raccontano di rimando il loro creatore. Sono allo stesso tempo cicatrici e ornamenti, ed è come se ognuna di esse avesse sussurrato a Darryl che forma darle.
“Quando inizio a lavorare con loro, cominciano a evolvere” ci spiega. “E non posso fare a meno di vedere un po’ di personalità emergere in loro“.
Ogni creazione di Darryl, infatti, ha un nome. E si sa, dietro a un singolo nome si nascondono migliaia di segreti…