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Quel che noi abbiamo di meraviglioso

29 lunedì Ago 2016

Posted by Giorgia Penzo in I miei viaggi

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arte, bellezza, blog, Campania, Caserta, Ercolano, estate, Gubbio, italia, italy, meraviglioso, Napoli, passato, Pompei, storia, Umbria, vacanze, viaggi, viaggiare

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso, a volte, ce lo scordiamo.
È dietro l’angolo, comodo, spesso troppo snobbato. Cerchiamo altrove quel che può farci felici qui, e più lontano del necessario ciò che può riempirci gli occhi di stupore e condizionarci negli anni a venire.
È successo che ho fatto il pieno di meraviglia. E adesso ve lo racconto.

Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova agli Scavi Archeologici di Ercolano.

"È strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato". (A. Roy)

“È strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato”. (A. Roy)

Ercolano è una bolla immobile di passato congelata nella roccia vulcanica. È una fossa ferma a duemila anni fa contornata, più su, dal presente: case, strade, persone, vite frenetiche, funzioni religiose e civili che si susseguono tra gli impegni di tutti i giorni. Come sopra, così sotto. Sotto, però, si respira polvere e storia.
Ercolano_1Ercolano è intima, silenziosa. Una pace quasi irreale si muove tra le mura rimaste. Mentre si passeggia, ci si ascolta e non si può fare a meno di pensare. Si pensa tanto, laggiù tra le colonne.
Passo dopo passo ci si accorge, tra le macerie, dei giardini pieni di alberi da frutto e dell’arte ancora aggrappata alle pareti.Ercolano_3

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La morte è confinata là dove una volta sorgeva la spiaggia. Gli scheletri che lì riposano appartengono molto probabilmente agli ultimi: servi e schiavi che non hanno avuto la possibilità di seguire i loro padroni in fuga sulle navi. Furono circa trecento le vite cancellate 1937 anni fa nella sola Ercolano: nella notte del 24 agosto del 79 d.C., almeno secondo una lettera di Plinio il Giovane a Tacito, il soffio rovente del Vesuvio macinò in una manciata di minuti i chilometri che lo separavano dalla cittadina, cancellandola.

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova agli Scavi Archeologici di Pompei, la “sorella maggiore” di Ercolano.

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“Io sono madre della natura, la signora di tutti gli elementi, la regina dei morti, la prima dei celesti. Gli Egizi mi chiamano con il mio vero nome, Iside Regina”. da Lucio Apuleio, Le metamorfosi (libro XI, V) – Tempio di Iside (Pompei)

Più estesa, più imponente, più tragica. Sole a picco, caldo torrido, un deserto di rovine che non finisce mai, molto del quale giace ancora sotto la superficie. È un dedalo di terra, pietre e cenere diventata roccia. Si passeggia sulle strade dove centinaia di persone – duemila anni fa – hanno passeggiato in pace; le stesse dove poi sono scappate in preda al terrore. Non mancano i brividi quando la mente se ne rende conto.
L’archeologia ricostruttiva messa in atto a Pompei ha permesso al passato di tornare vivo: analizzando i resti delle radici impiantate all’interno della cinta muraria, la tipologia di vigneto scoperta è stata ricollocata lì dove una volta si trovavano gli antichi paletti. Oggi le vigne vengono coltivate secondo il metodo usato dalla popolazione vesuviana, senza pesticidi né l’ausilio di macchinari moderni.
Dall’uva si produce il rosso Villa dei Misteri, un’eccellenza e un patrimonio unico. 1500 bottiglie l’anno, l’annata 2007 è quella attualmente in commercio. Forse una delle cose più affascinanti in cui sia mai incappata.

Villa dei Misteri - Pompei

Villa dei Misteri – Pompei

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Si sente ancora strisciare l’ombra della morte, a Pompei: succede quando l’occhio incappa sui corpi pietrificati dei bambini, degli adulti protesi a proteggerli, dei cani, nella pagnotta di pane carbonizzata conservata dentro una teca insieme ad altri alimenti. È impossibile non immedesimarsi.

Avevamo appena fatto in tempo a sederci quando si fece notte, non però come quando non c’è luna o il cielo è ricoperto da nubi, ma come a luce spenta in un ambiente chiuso… molti innalzavano le mani agli Dei, nella maggioranza si formava però l’idea che ormai gli Dei non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l’ultima al mondo. – dalla seconda lettera di Plinio il Giovane a Tacito.

Abitazioni anguste, pitture immense, templi, taverne, bordelli, teatri… Quando si entra nelle case per vedere cosa il vulcano ha risparmiato, viene quasi da chiedere permesso.
16 chilometri percorsi a piedi in quasi sette ore di visita, ma sarei rimasta lì il doppio. Troppi tesori in ogni angolo, troppo poco tempo. È stato uno degli arrivederci più sofferti.

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova alla Reggia di Caserta sulle tracce, come sempre, di Maria Antonietta di Francia (ma anche di Star Wars, perchè no?). Stanze sfarzose, giardini, fontane e ruscelletti strizzano l’occhio alla Versailles che adoro.

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Orologio nella Stanza da lavoro della Regina. Un dono di Maria Antonietta di Francia alla sorella Maria Carolina regina di Napoli. C’è un po’ di Parigi anche qui ♡

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova a Gubbio.
La più bella città medievale, recita il cartello che da il benvenuto. Ed è vero. Abbarbicata, con le romantiche viuzze di sasso, il profumo di cibo che sale mentre il sole scende e gli odori umbri che si mescolano nel vento, la magia eterna di un castello arroccato.
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Una chicca: quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova a Recanati.
Passeggiare tra le vie di questo paesino al tramonto o la sera, quando la luna è alta, è qualcosa di estremamente suggestivo. Ovunque si respira e si legge poesia, dai muri delle case alle insegne nelle piazze, sulle vetrine dei negozi, sulle porte delle scuole, nei giardini, sulle luminarie che addobbano i viali per le feste estive.
Si scorge davvero l’infinito sulla terrazza del Monte Tabor. Il mio consiglio è quello di visitare Recanati dopo aver visto il film Il giovane favoloso che ripercorre la vita di Leopardi: alla fine dei titoli di coda, ve lo assicuro, sarà semplicemente Giacomo.

13901493_10210296050308358_2565832085532188982_nNegli ultimi anni della sua vita, Leopardi si trasferì a Napoli e poi in una villa a Torre del Greco per sfuggire a un’epidemia di colera. Lì compose la sua penultima lirica, La ginestra, ispirata da un’eruzione del Vesuvio a cui il poeta assistette e in cui inserì una riflessione sulla desolazione dell’antica Pompei. E così, per me, è quasi come chiudere il cerchio di questo viaggio favoloso.

Torna al celeste raggio
Dopo l’antica obblivion l’estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all’aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Ch’alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell’orror della secreta notte
Per li vacui teatri, per li templi
Deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per voti palagi atra s’aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l’ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.

Quel che noi abbiamo davvero di meraviglioso è la possibilità di viaggiare, fare esperienze, costruire ricordi e soprattutto condividere questi momenti insieme alla persona giusta. Non c’è ricchezza più grande, né soddisfazione maggiore.
Trovate la vostra persona, trovate i vostri luoghi. Forse non esiste augurio più bello. :)

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«E se poi non lo amassi?» «Lo amerai» – I luoghi incantati de “Il Racconto Dei Racconti”

23 martedì Giu 2015

Posted by Giorgia Penzo in Recensioni e dintorni

≈ 36 commenti

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favola, film, il racconto dei racconti, italia, magia, recensione, turismo, viaggi, viaggiare

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Dimenticatevi il cinema italiano che conoscete.
Scordate la satira politica, le volgarità, i doppi sensi che non fanno ridere, i temi triti e ritriti, i trentenni che non vogliono crescere. Scoprite un film italiano nuovo, che italiano non sembra ma che dell’Italia ha tutto, a partire dai luoghi in cui è stato girato.

Il Racconto dei Racconti di Matteo Garrone è un fantasy ispirato a tre fiabe del 1600 che fanno parte della raccolta Lu cunto de li cunti dello scrittore napoletano Gianbattista Basile: La regina, La pulce e Le due vecchie.
Le location e i paesaggi che si vedono nei film non sono set ricostruiti in teatri di posa. Esistono davvero e sono meraviglie del nostro Paese di cui spesso non ci accorgiamo.
Nel caso foste ancora indecisi su dove passare le vacanze quest’estate, sappiate che a un passo da voi si nascondono posti da favola… letteralmente. ;)

Il Castello di Donnafugata si trova in Sicilia, a pochi chilometri da Ragusa. Questa splendida dimora nobiliare del tardo Ottocento è stata scelta come palazzo della regina di Selvascura, interpretata da Salma Hayek nel capitolo La regina.

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Castello di Donnafugata. Al contrario di quello che possa sembrare, non si tratta di un castello medievale ma di una sontuosa villa in stile neogotico.

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Labirinto del castello di Donnafugata dove nel film la regina gioca col figlio Elias. La pianta a trapezio è simile a quella del labirinto di Hampton Court, situato vicino Londra.

Labirinto del castello di Donnafugata dove, nel film, la regina gioca col figlio Elias. La pianta a trapezio è simile a quella del labirinto di Hampton Court, situato vicino Londra.

Parte degli interni, invece, appartengono al Castello di Sammezzano. Di architettura moresca (1605 circa), è situato in Toscana in provincia di Firenze. La stanza che salta più all’occhio è sicuramente La sala degli Amori (nel film ritoccata con del gesso per sembrare ancora più candida) dove la regina divora il cuore di drago marino.

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Sala degli Amori

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La regina mangia il cuore di drago cotto da una vergine. La speranza è quella di riuscire finalmente a rimanere gravida.

La tana del drago marino non è altro che una valle delle Gole dell’Alcantara, sempre in Sicilia.

Le Gole dell'Alcantara, in Sicilia, sono delle gole alte fino a 25 metri e larghe nei punti più stretti 2 metri e nei punti più larghi 4-5 metri © Wikimedia

Gole dell’Alcantara. Le pareti non sono state scavate dall’erosione dell’acqua ma create da una colata di lava basaltica.

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Il re, innamorato della propria regina, farebbe di tutto pur di renderla felice. Anche cacciare per lei un micidiale mostro dei fondali…

Il Castello di Roccascalegna, costruito dai longobardi nel XII secolo a difesa degli attacchi bizantini, si trova in Abruzzo in provincia di Chieti. Nel film è la dimora del re di Roccaforte, interpretato da Vincent Cassel nel capitolo Le due vecchie.

Castello di Roccascalegna. Fu costruito dai longobardi a difesa degli attacchi bizantini. La leggenda vuole che il barone Corvo de Corvis impose lo ius primae noctis che obbligava le donne del paese a passare la prima notte di nozze con lui. Una di loro, però, non fu d'accordo: accoltellò il barone che, prima di morire, impresse col sangue l'impronta della mano su una roccia, venuta alla luce dopo i recenti restauri. Si dice che l'impronta di sangue, anche se lavata via, ricompaia ogni volta.

La leggenda vuole che il barone Corvo de Corvis impose lo ius primae noctis, obbligando le donne del paese a passare la prima notte di nozze con lui. Una di loro, però, non fu d’accordo: accoltellò il barone che, prima di morire, impresse col sangue l’impronta della mano su una roccia rinvenuta dopo i recenti restauri. Si dice che l’impronta di sangue, anche se lavata via, ricompaia ogni volta.

All’inizio del capitolo, il re di Roccaforte e due cortigiane attraversano in carrozza un ponte surreale. Si tratta del Ponte della Maddalena in provincia di Lucca (Toscana).

Il Ponte della Maddalena (altrimenti noto come il Ponte del Diavolo) è una bizzarra costruzione asimmetrica. Si trova in Garfagnana dove attraversa il fiume Serchio.

Il Ponte della Maddalena (altrimenti noto come il Ponte del Diavolo) è una bizzarra costruzione asimmetrica. Si trova in Garfagnana e attraversa il fiume Serchio.

É in Lazio, nel suggestivo Bosco del Sasseto (Acquapendente, Viterbo) che si compie la magia su Dora, una delle due vecchie protagoniste dell’episodio.

Bosco del Sasseto. Si trova ai piedi del castello di Torre Alfina.

Bosco del Sasseto: muschi, licheni e alberi secolari. Si trova ai piedi del castello di Torre Alfina.

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Per il palazzo del re di Altomonte del capitolo La pulce, interpretato da Toby Jones, è stato scelto Castel del Monte (Adria, Puglia). Dal 1996 è patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.

Castel del Monte (1294 circa). L'inconfondibile pianta ottagonale.

Castel del Monte (1294 circa). D’inconfondibile pianta ottagonale, è un luogo assai misterioso: è carico di rimandi simbolici ed esoterici.

Padre e figlia sul terrazzo del castello.

Il re e sua figlia Viola sul terrazzo del castello. “Non posso ritirare la parola data”, dice lui alla principessa.

Ed è nel Villaggio Petruscio in provincia di Taranto (Puglia) che si trova la grotta dell’Orco dove viene portata la principessa Viola di Altomonte.

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Un rifugio naturale in pietra scavato nella roccia e circondato dalla macchia mediterranea.

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L’inseguimento della figlia del re di Altomonte ad opera del suo promesso sposo avviene nelle Vie Cave tra Sovana e Pitigliano, nel grossetano (Toscana).

Vie Cave etrusche scavate nel tufo. Si pensa fossero delle necropoli.

Vie Cave etrusche scavate nel tufo. L’unico dato certo a riguardo è che fungessero da necropoli.

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Non lasciatevi ingannare dalle immagini oniriche: questa non è una pellicola per bambini; non sono 125 minuti di spensieratezza e incantesimi a lieto fine. Qui c’è sempre un prezzo da pagare. Il Racconto dei Racconti fa pensare, e molto. C’è tanta bellezza, poesia e verità in questo film, che sembra quasi dipinto invece che filmato.
Le tre fiabe, narrate e intrecciate tra loro, sono come la vita – crude e magiche – e portano con sé lo stesso insegnamento: dividere il non divisibile e violare il corso delle cose corrisponde a un’altra violenza che dovrà essere espiata.

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Turismo, patrimoni nascosti e giovani: la necessità di valorizzare la cultura in Italia

17 lunedì Feb 2014

Posted by Giorgia Penzo in Arte ~ Cultura

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arte, cultura, giovani, italia, mibac, patrimonio artistico, turismo

L’Italia è un’elegante signora acciaccata con i segni del tempo sulla pelle, il trucco trascurato, ma con il viso ancora bellissimo. Così affascinante che persone di ogni nazionalità, età e religione attraversano il mondo per vederla e per scaldarsi il cuore con il suo sorriso. Un sorriso, da qualche anno a questa parte – purtroppo – contratto in una smorfia sofferente.

Per il premio nobel per la letteratura Gao Xingjian “la cultura non è un lusso, è una necessità”. Ma per le istituzioni italiane e i suoi vertici, la cultura nel nostro Paese non sembra meritare i primi posti negli ordini del giorno. Eppure potremmo fondare buona parte della nostra economia sul patrimonio tutelato dal MiBAC, se solo ci degnassimo di valorizzarlo a dovere.

Valle dei Templi (Agrigento)

Valle dei Templi (Agrigento)

Quello a cui assistiamo quasi quotidianamente è la trascuratezza dei luoghi di interesse archeologico, artistico e culturale – gli scavi di Pompei, per fare un esempio lampante – che invece di arricchire la nostra immagine all’estero la declassano irrimediabilmente. Se è vero che il 70% dell’antico Egitto è ancora sepolto sotto le sabbie del deserto, l’Italia non è da meno. Ovunque si scavi riemergono puntualmente reperti e installazioni del passato, come a ricordarci che c’è ancora molto da fare: una delle ultime è stata la scoperta di un’antica cattedrale incompiuta sotto alla torre di Pisa, venuta alla luce durante i lavori per il nuovo impianto di irrigazione del prato di piazza dei Miracoli. Oppure il cimitero del V secolo sotto gli Uffizi, o ancora le stanze segrete tornate alla luce ai piedi del Priamar, e così via.

Archiviata la patriottica quanto utopistica idea che il nostro Paese detenga la metà del patrimonio artistico mondiale (secondo l’UNESCO, con 49 siti d’interesse l’Italia – sebbene ai vertici – possiede meno del 6% del patrimonio artistico mondiale), la sfida che ci viene posta è come ottimizzare le nostre risorse culturali allo scopo di rendere quest’ultime fruibili ad un pubblico sempre più vasto.

Qualità prima di quantità, perché la vera cultura significa turismo e il turismo è – e deve essere, dal momento che ora come ora risulta un business colpevolmente trascurato – uno dei principali motori del nostro territorio. Occorre quindi pensare ad un massiccio intervento di restauro, riabilitazione e promozione culturale delle opere d’arte e dei monumenti simbolo del nostro Paese – anche, perché no, attraverso il patrocinio di mecenati privati – ponendoli una volta per tutte a misura di visitatore: abbattimento definitivo delle barriere architettoniche, azzeramento del degrado nei siti di interesse, più disponibilità di pacchetti vacanza turistico culturali a prezzi concorrenziali e agevolazioni, più notti bianche ai musei distribuite durante l’anno sull’intero territorio nazionale, un maggior numero di mostre con percorsi dedicati ai visitatori più piccoli, in modo da farli accostare a questo mondo che a volte rischia di risultare troppo noioso.

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Ma la cultura non è solo arte nel senso puro del termine. È anche letteratura, musica e spettacolo. Spazio quindi agli esordienti meritevoli, ai giovani che possono essere la cultura del domani: concorsi letterari gratuiti e sponsorizzati da grandi nomi – in collaborazione con case editrici non a pagamento, il tutto nel pieno rispetto del principio meritocratico – potrebbero facilitare l’emergere di una biblioteca inedita e ancora sepolta.

La cultura è anche folklore e tradizione, spesso questo un patrimonio in via di estinzione assaporato solo dal turismo di nicchia. Occorrerebbe dare più rilievo alle manifestazioni culturali proprie delle singole realtà che compongono la nostra penisola, svilupparle sul piano della promozione e dell’accessibilità, in modo da integrarle nel macrosistema italiano che spesso se ne dimentica e punta i riflettori solo sui luoghi di grande interesse.

Soffermiamoci un istante sul significato della parola cultura. La nozione deriva dal latino e significa “coltivare”, infatti alla cultura ci si addestra sin da bambini e cresce con noi nella misura in cui la curiamo. Per questo motivo è opportuno formare insegnanti propositivi e idonei a trasmettere ai propri allievi questa passione vitale (passione che tra gli italiani scarseggia). È vero che la maggior parte delle facoltà universitarie che oggi garantiscono un posto di lavoro sono a indirizzo economico-scientifico-ingegneristico, mentre le cosiddette lauree culturali ad indirizzo umanistico e artistico fanno galleggiare a malapena in un limbo di disoccupazione e precariato.

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Ma allora perché sono sempre di più i ragazzi e le ragazze che anche oggi continuano a scegliere queste facoltà, nonostante le aspettative tutt’altro che rosee? Probabilmente perché queste materie da cui moltissimi di noi si sentono irrimediabilmente attratti – non per nulla erano il pane quotidiano dei padri fondatori del nostro sapere – sono nel nostro DNA e nel nostro essere italiani. È necessario che queste facoltà e questi indirizzi di studio votati alla cultura vadano valorizzati in una scala di priorità consona. Così come è indispensabile la ricerca scientifica, così è importante la tutela e il potenziamento del patrimonio culturale e artistico in modo da permettere non solo a noi ma anche alle generazioni future di goderne e di conoscere, attraverso le stesse, la nostra storia e le nostre radici.

Se è vero, quindi, che i ripostigli e i magazzini dei musei sono zeppi di reperti e tesori nascosti questo è il momento di trovare loro una degna collocazione. La necessità di nuove infrastrutture idonee e di personale specializzato creerebbe così posti di lavoro, oltre al fatto che si aprirebbero le porte per nuove ondate di turismo. Il quale, a sua volta, porterebbe un indotto che potrebbe essere reinvestito nella conservazione dei beni culturali, nella creazione di borse di studio per brillanti universitari e ricercatori (in modo da non costringerli a fuggire all’estero) e in corsi di formazione per neolaureati da inserire nei diversi contesti museali e non.

Investire sulla cultura non è una perdita di tempo e di risorse. Lo è pensare che, anche senza alcun intervento, questa rimanga immutata. Perché esattamente come un affresco, un manoscritto miniato o una bobina cinematografica, anche la cultura come valore ha bisogno di essere protetto. Costantemente.

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Giorgia Penzo, emiliana, ha l'anima un po' incastrata nel passato. Ama il cinema, la mitologia e scappare a Parigi alla prima occasione. È autrice di "Ogni giorno come il primo giorno" (Editrice Nord) e "Il custode di Elias" (Il Battello a Vapore).

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