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Sveglia alle sei.
Posponi.
Sveglia alle sei e dieci.
Posponi.
Sveglia alle sei e venti.
Ci rinuncio, e mentre la spengo provo ad accendermi: doccia fredda, colazione leggera, trucco leggero, felpa larga che oggi le prime due ore c’è la verifica di matematica e ho bisogno di sentirmi al sicuro.
Raggiungo l’autobus di corsa, quasi lo perdo, salgo, riprendo fiato, combatto per un posto a sedere, vinco, accendo la musica, spingo la mente alla deriva, sguardo oltre il mio riflesso sul finestrino, zaino stretto in grembo con tutto il mio mondo dentro mentre gli altri nei posti vicini copiano i compiti. Il percorso che ho imparato a conoscere, che è sempre uguale, è diverso ogni mattina: dipende dal tempo, dalle stagioni, dalla data sul calendario. La canzone giusta, la vita sbagliata, la voglia di cambiarla mentre inciampo nel ritornello. Ricordi inestimabili di viaggi troppo brevi.
Si torna alla realtà: scendo, mi incammino verso il cortile del polo scolastico, suona la campanella, non posso spegnere finché la mia traccia preferita non finisce, aspetto, aspetto ancora, non c’è più tempo. Mi dirigo in classe, tolgo la giacca, addosso mi tengo solo la voglia di non essere lì. Matematica è il mio incubo, lo scoglio sul quale continuo a frantumarmi. Non sono brava con i numeri. Non sono brava a fare i conti. Non seguo la logica, mi butto, non ragiono. Vado d’istinto. Io e la matematica non parliamo la stessa lingua, né a scuola né fuori. Né ora né mai… → continua sulla pagina Facebook Ogni giorno come il primo giorno