Quasi estate
02 sabato Mag 2020
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in02 sabato Mag 2020
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in15 mercoledì Nov 2017
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“Vai in camera tua!“: da punizione a benedizione in una manciata d’anni.
Tutte le frasi meritano una seconda possibilità.
27 mercoledì Gen 2016
Posted Quel che oggi ormai è storia
inTag
bambini, blog, film, giorno della memoria, libri, Pensieri, ricordo, riflessioni, shoah
C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
Schulze Monaco
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per i soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bimbo di tre anni
forse di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini
anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.
– Joyce Lussu, 1944
Sono tantissime le letture che raccontano la Shoah: biografie, saggi, storie di fantasia, memorie di un vissuto ancora nitido per chi è sopravvissuto e che non potrà mai essere dimenticato.
Di seguito trovate qualcosa di molto simile a un piccolo consiglio, una selezione di cinque libri approdati anche al cinema/televisione che io personalmente ho apprezzato molto:
Non c’è altro da aggiungere, se non una cosa, un dovere di tutti: ricordare.
16 mercoledì Dic 2015
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caffè, estate, luoghi comune, mare, natale, Pensieri, riflessioni, vita
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Là fuori è pieno di gente che dà per scontato che a tutti piacciano:
– l’estate
– il mare
– il caffè
– il Natale
E il modo in cui ti fissano, poi, quando infrangi le loro certezze?
Ti guardano come se fossi atterrato da un altro mondo, ovviamente sbagliato. Hanno pietà di te, lo si capisce dal loro annuire. Dal: “ma davvero?“, nell’ultimo tentativo di farti cambiare idea. Come se non esistessero altre stagioni, altri luoghi dove passare le vacanze, altre bevande da offrire, altre feste più attese.
Sia chiaro: l’estate mi piace, ma quando ci sono i temporali; il mare mi piace, ma d’inverno; il Natale mi piace se ho bimbi accanto da rendere felici (come i miei cuginetti), se posso trascorrerlo con chi voglio e non con chi devo. Il caffè… no, quello proprio lo detesto.
Una volta ho fatto da baby sitter a un bambino di 5 anni al quale non piacevano né la cioccolata né le patatine fritte.
Anch’io all’inizio non capivo come fosse possibile. Non era normale. Poi, per fortuna, me l’ha spiegato: “non siamo mica tutti uguali, lo sai?” mi ha detto. “A me piacciono tanto i broccoli ma ai miei amici no. E meno male, se no andrebbero tutti al supermercato a comprarli, e io rimarrei senza“.
Chiaro, no?
06 venerdì Feb 2015
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diario, inverno, maltempo, neve, nevicata, Pensieri, riflessioni, sensazioni, silenzio
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Zona Noce, Poviglio, Reggio Emilia
Quindici ore senza rumore. Niente rombi di camion nella strada dietro casa, niente sgommate di auto che di solito sfrecciano sulla statale né vetri che tremano per via del frastuono.
Niente clacson o frenate, o cicalino del furgoncino della nettezza urbana, niente pullman della scuola sotto la mia finestra. Niente di niente.
Soltanto il crepitio dei fiocchi sui cumuli di neve, il tonfo dei rami rotti, le pale che grattano i cortili, le imprecazioni, i cordiali scambi di convenevoli tra persone immerse nel bianco che si ricoprono vicini di casa. Non sapevo di averne così tanti.
Escono come formiche dai loro caldi rifugi, quasi contrariati per non poter raggiungere l’ufficio. E spalano aspettando che faccia buio, e che il tempo conceda un po’ di tregua.
Quindici ore di cui dieci senza elettricità. Si tirano fuori i mozziconi di candele e sovrappensiero si pigia comunque l’interruttore della luce quando si entra in una stanza.
Niente internet, niente televisione, pessima rete del cellulare. Non ci si può asciugare i capelli, non si usa il microonde, non si fa partire la lavastoviglie e i piatti vanno lavati a mano.
Chiamare al lavoro, comunicare che non si riesce a uscire di casa, aspettare una conferma, confrontarsi con le colleghe, assaporare il disagio di un weekend buttato, prigioniera sotto il piumone.
Quindici ore senza rumore, e immagino ne passeranno altrettante prima di sentire di nuovo i suoni molesti della quotidianità.
Oggi, in questa giornata passata a far la spola dal caminetto alla finestra, ho pensato molto a una frase di mio nonno. Un cavallo di battaglia di tutti i nonni, probabilmente: qui una volta era tutta campagna.
La vita non era frenetica, le serate erano silenziose, si famigliarizzava col vicinato senza bisogno di un’emergenza meteo, i campi si allargavano dove oggi ci sono le tangenziali e la neve cadeva comunque.