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Oggi è un giorno strano, e non perchè il calendario segna il 29 febbraio. Lo è perchè tutti noi stamattina – chi più chi meno consapevolmente – ci siamo svegliati con un regalo sul comodino: una piccola rivincita – metaforica, sia chiaro – impacchettata in una carta dorata che somiglia a quella dei Ferrero Rocher.
Ma facciamo un passo indietro.
– Equipaggiamento: plaid, thermos di tè al bergamotto, biscotti al cioccolato, sacchetti di patatine vari.
– Missione: canale 8 del digitale terrestre, diretta Notte degli Oscar a partire alle ore 23 del 28 febbraio per arrivare alle 6 del mattino del giorno dopo.
– Obbiettivo: vedere fino a dove può spingersi la sfortuna di un uomo.
Primo scoglio: il red carpet.
Fa caldo a Hollywood. Eddie Redmayne confessa alla giornalista che sta sudando come se non ci fosse un domani dal momento che ha toppato alla grande l’abito (di velluto) che ha scelto.
Jennifer Lawrence non si vede ancora, e a un certo punto temo il peggio, tipo che sia caduta da qualche parte rotolando dietro una balaustra.
Jacob Tremblay, 9 anni, mostra alla telecamera i gemelli della sua camicia ispirati al Millennium Falcon e le calze di Darth Vader, il resto è un tuxedo Armani.
Alicia Vikander fa la sua passerella vestita e acconciata con un cosplay di Belle de La Bella e la Bestia; nel frattempo scopro come si pronuncia Saoirse Ronan e ancora non capisco da che parte del cervello mi sia uscito SAORAIS per tutti questi anni.
Comunque. Alle 2.30 comincia la premiazione.
Alti e bassi, abbiocchi vari superati alla grande, Mad Max Fury Road che vince i suoi primi tre Oscar in tre minuti e lì temo il peggio, tipo che si porti a casa tutto e che la magnifica Charlize vinca come Migliore Attrice anche se non è candidata. Chissene frega, lei può farlo.
Il Maestro Ennio Morricone mette in tasca il premio per la Miglior Colonna Sonora e saluta tutti con un Buonasera, signori, buonasera da brivido che nemmeno il Robberto! di Sophia Loren nel ’99.
Alle 5, ormai, la scorta di viveri è terminata.
Rimane solo l’ansia e mi mangio pure quella. Fa il suo lavoro, laggiù nello stomaco, intanto che l’ultima ora fatale si appresta a esalare gli ultimi rintocchi. Non ho quasi più sonno.
Ecco che sul palco arriva l’attrice che leggerà il nome del Miglior Attore. È Julianne Moore, bellissima in un abito nero Chanel che fa un po’ vedova troiana al funerale di Ettore. Porterà male? Macché.
Ricordo di aver saltato sul letto, il batticuore, l’urlo sommesso per non svegliare i miei, la felicità, la soddisfazione. Un tifo che neanche ai Mondiali quando si gioca in casa.
Prima di essere Hugh Glass in Revenant, Leondardo DiCaprio è stato Josh, un ragazzo senza nome, Toby Wolff, Arnie Grape, Kid, Jim Carroll, Arthur Rimbaud, Romeo Montecchi, Hank, Jack Dawson, Luigi XIV, Brandon Darrow, Richard, Derek, Amsterdam Vallon, Frank Abagnale Jr., Howard Hughes, Danny Archer, Billy Costigan, Roger Ferris, Frank Wheeler, Edward Daniels, Dominic Cobb, J. Edgar Hoover, Calvin J. Candie, Jay Gatsby e Jordan Belfort. Ma nessuno di questi è stato mai “abbastanza”.
Leonardo, un po’ perdente e un po’ iellato, nella vita vera ha impersonato un ruolo fin troppo simile alla nostra esistenza di tutti i giorni, riassumibile in un concentrato di MAI UNA GIOIA.
Nonostante il talento, è stato: costantemente deriso (come non citare i meme, degni discendenti dei mefitici bigliettini dietro la schiena); sempre a un passo dalla meta, lusingato, puntualmente nominato con un “le faremo sapere” e poi liquidato perchè il posto se lo prendeva un altro; obbligato ai sorrisi di circostanza per non apparire deluso; condannato a gioire dei successi altrui, accontentarsi delle briciole e sopportare l’ennesima pacca sulla spalla del “sarà per la prossima volta”.
La “prossima volta” è arrivata, finalmente.
Leonardo è un sopravvissuto, è uno di noi. Leonardo è la prova vivente che la ruota gira. Che non bisogna mai mollare. Che se credi fino in fondo in quello che fai, prima o poi ne coglierai i frutti. Che per quanto la strada sia lunga e in salita, tua madre e la tua migliore amica saranno sempre al tuo fianco.
Ci sono voluti 23 anni per questa foto e 19 per questo sguardo. Guardateli. Io direi che l’attesa è stata ripagata.