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~ Avete presente quegli scomodi abiti vittoriani? Ecco. Io non vorrei indossare altro.

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Intervista su Letture.org: “I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta”

11 sabato Gen 2020

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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book, books, i processi a luigi XVI e maria antonietta, intervista, lettura, libri, Maria Antonietta, monarchia, rivoluzione francese, saggistica, storia

Appassionati di storia, monarchia, complotti e Rivoluzione francese? Su Letture.org è stata pubblicata la mia intervista sul saggio “I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta – Dal trono al patibolo” edito da Genesis Publishing. Di seguito trovate una breve anteprima. Buona lettura ✨ 


Dott.ssa Giorgia Penzo, Lei è autrice del libro I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta. Dal trono al patibolo edito da Genesis Publishing: cosa hanno significato, dal punto di vista storico, i processi a Luigi XVI e Maria Antonietta?
Di Luigi XVI e del suo processo se ne parlò subito, a meno di un anno dalla sua esecuzione, come colui che era stato «vittima dello spirito di partito e del fanatismo», «immolato per mano dei suoi sudditi ribelli congiurati per lo sterminio della sua persona, non meno della sua famiglia». La Restaurazione considerò regicidi coloro che votarono la morte del re. Parecchi votanti si scusarono dichiarandosi colpevoli del più grande di tutti i delitti e responsabili del voto abominevole che li avrebbe tormentati fino alla morte. Altri confessarono di aver parteggiato per la morte di Luigi XVI perché sedotti, trascinati, minacciati e obbligati. Ma la Restaurazione restò sorda alle suppliche e la maggior parte di loro venne bandita dal regno. Alcuni vi rientrarono soltanto nel 1830 dopo il crollo della Restaurazione, ormai vecchi e indeboliti dalle vicissitudini di una grande era, decisi più che mai a farsi dimenticare. Il mandato politico della Rivoluzione avrebbe potuto concludersi con la morte di Luigi XVI, il sommo vertice del potere. Alla scomparsa del consorte, Maria Antonietta – regina decaduta, donna, straniera, madre di un delfino senza più un regno – era ormai politicamente insignificante: la sua unica utilità risiedeva nell’essere una merce di scambio, un mero ostaggio nelle mani della Convenzione, che ben presto abbandonò l’idea di servirsene come tale.
La sua morte non avrebbe portato, a differenza di quella del sovrano, a un cambiamento di ordine politico e sociale. Ma come il re, e forse più di lui, costituiva un simbolo: e se l’uno era stato cancellato con la morte, l’altro non avrebbe mai potuto aspirare alla grazia dell’esilio.
Dopo l’esecuzione di Maria Antonietta il dubbio e la paura del diffondersi di un nuovo sentimento monarchico non fecero che portare i partiti all’autodistruzione con l’inaugurazione del periodo del Terrore, che ebbe tra le sue vittime alcuni dei suoi stessi sostenitori tra cui Maximilien de Robespierre.
Durante la Restaurazione, anche per Maria Antonietta si aprì un periodo di mitizzazione della sua figura. Lo stesso Napoleone I decise di prendere in sposa la futura duchessa regnante di Parma, Piacenza e Guastalla Maria Luigia d’Austria – figlia dell’imperatore Francesco II e pronipote di Maria Antonietta – allo scopo di suggellare la pace tra Francia e Austria e omaggiare la monarchia che segnò la fine dell’ancien régime.

Quali falsità sulle figure di Luigi XVI e Maria Antonietta si sono tramandate?
Se Luigi XVI doveva essere riconosciuto colpevole soprattutto dalle alte sfere della nuova realtà repubblicana, Maria Antonietta doveva esserlo anche per il più umile cittadino. Se la morte del re doveva servire per convincere la nazione che la Rivoluzione era giusta e per permettere a essa di risorgere come libera, uguale e definitivamente affrancata dalla monarchia, la morte della regina doveva servire al popolo come riscatto per tutti i soprusi patiti.
Durante il processo, a Luigi XVI furono contestati fatti la cui responsabilità venne ingiustamente fatta risalire alla sua persona, tra cui le repressioni militari eseguite da Bouillé o quella civile del Campo di Marte, i primi insuccessi dell’esercito francese e la resa di Verdun. L’interrogatorio, condotto da Bertrand Barère, s’installò su accuse alcune delle quali risultarono illegali in quanto si riferivano a fatti – eventualmente – avvenuti prima dell’accettazione della Costituzione e della grande amnistia politica promulgata in quella occasione.
Le falsità tramandate su Maria Antonietta durante il suo processo furono, però, ancora più eclatanti. Tra le tante spiccano l’essersi macchiata di incesto con il figlio e la partecipazione all’orgia del 1° ottobre 1789 in occasione del banchetto delle guardie del corpo della famiglia reale, voci avvalorate dai libelli scandalistici e dalle deposizioni dei nemici della regina. Soprannominata l’“Austriaca”, per tutti coloro che non la sostenevano era la spia inviata dagli Asburgo allo scopo di nuocere alla Francia e la sobillatrice del re che la stessa Nazione aveva messo a morte. Le incriminazioni, soprattutto quella totalmente infondata d’incesto col figlio Luigi Carlo, avevano lo scopo di smuovere anche l’opinione pubblica più semplice e analfabeta che era stata toccata dal politico processo al re soltanto per via indiretta.

Che tipo di potere era quello incarnato dal re di Francia?
L’ufficio dei re si fondava su un diritto divino e le loro persone dovevano essere considerate sacre: un simile diritto e una tale sacralità, però, non apparteneva loro in quanto uomini ma solo in quanto re, e sarebbero venuti entrambi meno in caso di perdita del titolo. I sovrani, per provvedere agli scopi del governo, vennero pertanto elevati al di sopra degli altri uomini i quali avevano l’obbligo di riverirli. Al vertice della gerarchia temporale e al di sopra dei signori stava quindi il Re di Francia, incarnazione ereditaria dell’antica monarchia: un re assoluto, i cui diritti procedevano soltanto da Dio; “padre” di tutti i suoi sudditi; proprietario eminente del regno intero e proprietario diretto di vastissimi possedimenti fondiari; detentore infine di tutti i poteri che oggi siamo abituati a distinguere, ossia l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario.

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I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta_seconda edizione

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La canzone di Achille

16 domenica Set 2018

Posted by Giorgia Penzo in Recensioni e dintorni

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achille, book, books, epica, la canzone di achille, libri, libro, madeline miller, romanzo storico, storia

Lo riconoscerei anche solo dal tocco, dal profumo; lo riconoscerei anche se fossi cieco, dal modo in cui respira, da come i suoi piedi sferzano la terra.
Lo riconoscerei anche nella morte, anche alla fine del mondo.

Gloria e onore sono le sbarre della gabbia d’oro di Achille. Patroclo si insinua lentamente tra esse, porta gioia in una vita dal percorso già segnato, amore e lealtà dove è scritto che ci siano solo sangue e morte. Ma è faticoso. E’ come nuotare contro corrente per anni, sfidare le maree notte dopo notte, aggrapparsi agli scogli per darsi la spinta appena la risacca lo permette. Per un istante entrambi si illudono di essere riusciti ad aggirare il destino ineluttabile. Invece arriva, e annodato ad esso ci sono le esistenze dei soldati, degli eroi, delle principesse, delle schiave, dei re e degli dei.

Nonostante tutti noi conosciamo l’epilogo sin dai banchi di scuola, Madeline Miller non lo rende più facile da affrontare. Anzi. Quanto dolore e speranza mescolati insieme fino all’ultima pagina. La canzone di Achille è uno di quei libri che mi accompagnerà per sempre.

 

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Nuova edizione del saggio storico I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta – Dal trono al patibolo

09 lunedì Ott 2017

Posted by Giorgia Penzo in Saggi

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book, books, genesis publishing, libri, libro, Maria Antonietta, parigi, rivoluzione francese, saggistica, storia

Chi ha avuto occasione di visitare Place de la Concorde ricorda sicuramente la targa ai piedi dell’obelisco che commemora le esecuzioni di Maria Antonietta e Luigi XVI del 1793. Di loro conosciamo gli sfarzi, le frasi che non hanno mai pronunciato, i vizi e la drammatica fine. Ma che ne è stato realmente di loro dopo che il sole su Versailles è tramontato per sempre? Cosa sarebbe Parigi senza i protagonisti della Rivoluzione, nel bene e nel male?

Da oggi la nuova edizione ampliata del saggio storico I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta – Dal trono al patibolo è disponibile anche in cartaceo. Immergetevi tra gli intrighi e i giochi politici che hanno spazzato via un’era. Vivete le battute finali del regno degli ultimi sovrani dell’Ancien Régime. Scoprite se erano davvero colpevoli.

Un saggio completo e realistico su uno degli eventi più importanti che ha rivoluzionato la Storia. Una seconda edizione arricchita di materiale nuovo, espresso con stile scorrevole e mai gravoso, ci accompagna verso la riscoperta di due figure storiche immortali, le quali vengono magistralmente analizzate grazie alla penna dell’autrice. –  L’EDITORE Genesis Publishing

 

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Quando la moda promuove l’arte: ecco le borse ispirate alla Reggia di Caserta

10 giovedì Nov 2016

Posted by Giorgia Penzo in Arte ~ Cultura

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arte, bellezza, blog, borse, comunicato stampa, made in italy, moda, Reggia Collection, reggia di caserta, storia, vodivì

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Ci sono progetti che nascono grandi, con un’anima nobile e una missione altrettanto encomiabile. Uno di questi è Reggia Collection.
Si tratta di una collezione di borse e accessori realizzata da VODIVÌ – pregiata casa di moda votata al Made in Italy con sede in Umbria – in collaborazione con la Reggia di Caserta, nata proprio per dare visibilità a questa inestimabile risorsa culturale italiana.
La famosa facciata della Reggia è stata impressa con uno stampo a rilievo sul lato esterno di ogni accessorio e arricchita di uno sbaffo d’oro: oro che ritroviamo nella stanza del trono e negli ambienti preziosi di quest’opera unica al mondo che qualche mese fa ho avuto il piacere di visitare.

Per promuovere una conoscenza della Reggia diversa dall’usuale, a ogni accessorio dal nome evocativo è stato abbinato un pacchetto che comprende un itinerario turistico a questa dedicato, un’intervista con il direttore Mauro Felicori per far conoscere storie e aneddoti unici e affascinanti, e una photo-gallery per mostrare il Palazzo Reale da una diversa prospettiva.
Un omaggio a tutto tondo, insomma, che tiene conto di bellezza, arte, storia, cultura, moda, lusso, riscoperta del territorio e turismo sostenibile.

AMALIA: una “regale” mini bag, in onore alla regina Maria Amalia, moglie di Re Carlo di Borbone.

AMALIA: una pochette regale, elegante e non convenzionale creata in onore della regina Maria Amalia, moglie di Re Carlo di Borbone.

LUIGI: porta ipad che porta il nome di Luigi Vanvitelli, genio rivoluzionario dall'animo concreto ed instancabile e padre dell’Architettura Neoclassica; colui che progettò la nuova città di Caserta, di cui la Reggia ne era il fulcro.

LUIGI: porta iPad che ha il nome di Luigi Vanvitelli, genio rivoluzionario dall’animo concreto ed instancabile, padre dell’Architettura Neoclassica; fu colui che progettò la nuova città di Caserta, di cui la Reggia ne era il fulcro.

ASTREA: borsa/porta iPad ispirata alla sala omonima. Prende il nome dal dipinto della volta

ASTREA: borsa/porta iPad ispirata alla sala omonima. Prende il nome dal dipinto della volta “Il trionfo di Astrea” che, secondo la mitologia, era la dea presente sulla terra nell’età aurea dell’umanità. Tale sala fungeva da anticamera per i gentiluomini di carriera, ambasciatori, segretari di stato e di altre persone privilegiate.

Allo scopo di promuovere Reggia Collection in tutto il mondo e avvicinare l’arte alle persone, VODIVÌ ha lanciato una campagna internazionale di crowdfunding che terminerà domenica 4 dicembre 2016: si può contribuire al progetto QUI acquistando gli accessori che compongono la collezione, oppure versando una piccola somma simbolica.

Grazie a questa iniziativa sarà possibile aumentare la visibilità della Reggia di Caserta, ma anche realizzare qualcosa di concreto. Infatti una parte dei fondi raccolti sarà destinata al restauro delle sedie del foyer, per preservare la bellezza di un luogo unico: il teatro di corte.
Reggia Collection è tutto questo: un’ottima occasione per sostenere la tradizione artigianale di qualità Made in Italy e, allo stesso tempo, essere i mecenati di uno dei Patrimoni UNESCO più prestigiosi d’Italia.

Quando la #moda promuove e sostiene l’#arte: le borse @vodivi ispirate alla #ReggiaDiCaserta
➺ https://t.co/UyPXVvzLqi

[@MiBACT @Reggiace] pic.twitter.com/yYkstvVBcm

— Giorgia Penzo (@_redcarpet) November 10, 2016

 

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso

29 lunedì Ago 2016

Posted by Giorgia Penzo in I miei viaggi

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arte, bellezza, blog, Campania, Caserta, Ercolano, estate, Gubbio, italia, italy, meraviglioso, Napoli, passato, Pompei, storia, Umbria, vacanze, viaggi, viaggiare

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso, a volte, ce lo scordiamo.
È dietro l’angolo, comodo, spesso troppo snobbato. Cerchiamo altrove quel che può farci felici qui, e più lontano del necessario ciò che può riempirci gli occhi di stupore e condizionarci negli anni a venire.
È successo che ho fatto il pieno di meraviglia. E adesso ve lo racconto.

Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova agli Scavi Archeologici di Ercolano.

"È strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato". (A. Roy)

“È strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato”. (A. Roy)

Ercolano è una bolla immobile di passato congelata nella roccia vulcanica. È una fossa ferma a duemila anni fa contornata, più su, dal presente: case, strade, persone, vite frenetiche, funzioni religiose e civili che si susseguono tra gli impegni di tutti i giorni. Come sopra, così sotto. Sotto, però, si respira polvere e storia.
Ercolano_1Ercolano è intima, silenziosa. Una pace quasi irreale si muove tra le mura rimaste. Mentre si passeggia, ci si ascolta e non si può fare a meno di pensare. Si pensa tanto, laggiù tra le colonne.
Passo dopo passo ci si accorge, tra le macerie, dei giardini pieni di alberi da frutto e dell’arte ancora aggrappata alle pareti.Ercolano_3

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La morte è confinata là dove una volta sorgeva la spiaggia. Gli scheletri che lì riposano appartengono molto probabilmente agli ultimi: servi e schiavi che non hanno avuto la possibilità di seguire i loro padroni in fuga sulle navi. Furono circa trecento le vite cancellate 1937 anni fa nella sola Ercolano: nella notte del 24 agosto del 79 d.C., almeno secondo una lettera di Plinio il Giovane a Tacito, il soffio rovente del Vesuvio macinò in una manciata di minuti i chilometri che lo separavano dalla cittadina, cancellandola.

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova agli Scavi Archeologici di Pompei, la “sorella maggiore” di Ercolano.

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“Io sono madre della natura, la signora di tutti gli elementi, la regina dei morti, la prima dei celesti. Gli Egizi mi chiamano con il mio vero nome, Iside Regina”. da Lucio Apuleio, Le metamorfosi (libro XI, V) – Tempio di Iside (Pompei)

Più estesa, più imponente, più tragica. Sole a picco, caldo torrido, un deserto di rovine che non finisce mai, molto del quale giace ancora sotto la superficie. È un dedalo di terra, pietre e cenere diventata roccia. Si passeggia sulle strade dove centinaia di persone – duemila anni fa – hanno passeggiato in pace; le stesse dove poi sono scappate in preda al terrore. Non mancano i brividi quando la mente se ne rende conto.
L’archeologia ricostruttiva messa in atto a Pompei ha permesso al passato di tornare vivo: analizzando i resti delle radici impiantate all’interno della cinta muraria, la tipologia di vigneto scoperta è stata ricollocata lì dove una volta si trovavano gli antichi paletti. Oggi le vigne vengono coltivate secondo il metodo usato dalla popolazione vesuviana, senza pesticidi né l’ausilio di macchinari moderni.
Dall’uva si produce il rosso Villa dei Misteri, un’eccellenza e un patrimonio unico. 1500 bottiglie l’anno, l’annata 2007 è quella attualmente in commercio. Forse una delle cose più affascinanti in cui sia mai incappata.

Villa dei Misteri - Pompei

Villa dei Misteri – Pompei

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Si sente ancora strisciare l’ombra della morte, a Pompei: succede quando l’occhio incappa sui corpi pietrificati dei bambini, degli adulti protesi a proteggerli, dei cani, nella pagnotta di pane carbonizzata conservata dentro una teca insieme ad altri alimenti. È impossibile non immedesimarsi.

Avevamo appena fatto in tempo a sederci quando si fece notte, non però come quando non c’è luna o il cielo è ricoperto da nubi, ma come a luce spenta in un ambiente chiuso… molti innalzavano le mani agli Dei, nella maggioranza si formava però l’idea che ormai gli Dei non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l’ultima al mondo. – dalla seconda lettera di Plinio il Giovane a Tacito.

Abitazioni anguste, pitture immense, templi, taverne, bordelli, teatri… Quando si entra nelle case per vedere cosa il vulcano ha risparmiato, viene quasi da chiedere permesso.
16 chilometri percorsi a piedi in quasi sette ore di visita, ma sarei rimasta lì il doppio. Troppi tesori in ogni angolo, troppo poco tempo. È stato uno degli arrivederci più sofferti.

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova alla Reggia di Caserta sulle tracce, come sempre, di Maria Antonietta di Francia (ma anche di Star Wars, perchè no?). Stanze sfarzose, giardini, fontane e ruscelletti strizzano l’occhio alla Versailles che adoro.

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Orologio nella Stanza da lavoro della Regina. Un dono di Maria Antonietta di Francia alla sorella Maria Carolina regina di Napoli. C’è un po’ di Parigi anche qui ♡

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova a Gubbio.
La più bella città medievale, recita il cartello che da il benvenuto. Ed è vero. Abbarbicata, con le romantiche viuzze di sasso, il profumo di cibo che sale mentre il sole scende e gli odori umbri che si mescolano nel vento, la magia eterna di un castello arroccato.
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Una chicca: quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova a Recanati.
Passeggiare tra le vie di questo paesino al tramonto o la sera, quando la luna è alta, è qualcosa di estremamente suggestivo. Ovunque si respira e si legge poesia, dai muri delle case alle insegne nelle piazze, sulle vetrine dei negozi, sulle porte delle scuole, nei giardini, sulle luminarie che addobbano i viali per le feste estive.
Si scorge davvero l’infinito sulla terrazza del Monte Tabor. Il mio consiglio è quello di visitare Recanati dopo aver visto il film Il giovane favoloso che ripercorre la vita di Leopardi: alla fine dei titoli di coda, ve lo assicuro, sarà semplicemente Giacomo.

13901493_10210296050308358_2565832085532188982_nNegli ultimi anni della sua vita, Leopardi si trasferì a Napoli e poi in una villa a Torre del Greco per sfuggire a un’epidemia di colera. Lì compose la sua penultima lirica, La ginestra, ispirata da un’eruzione del Vesuvio a cui il poeta assistette e in cui inserì una riflessione sulla desolazione dell’antica Pompei. E così, per me, è quasi come chiudere il cerchio di questo viaggio favoloso.

Torna al celeste raggio
Dopo l’antica obblivion l’estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all’aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Ch’alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell’orror della secreta notte
Per li vacui teatri, per li templi
Deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per voti palagi atra s’aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l’ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.

Quel che noi abbiamo davvero di meraviglioso è la possibilità di viaggiare, fare esperienze, costruire ricordi e soprattutto condividere questi momenti insieme alla persona giusta. Non c’è ricchezza più grande, né soddisfazione maggiore.
Trovate la vostra persona, trovate i vostri luoghi. Forse non esiste augurio più bello. :)

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❝ Signore, non posso farlo. Non posso metterlo. Le domestiche non si mettono perle ❞.

23 lunedì Nov 2015

Posted by Giorgia Penzo in Recensioni e dintorni

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arte, book, books, la ragazza con l'orecchino di perla, letteratura, libri, libro, pittura, storia, tracy chevalier, vermeer

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Titolo: La ragazza con l’orecchino di perla (Girl With a Pearl Earring)
Autore: Tracy Chevalier
Pagine: 240
Genere: romanzo storico
Editore: Neri Pozza
Dove trovarlo: Amazon
Versione cinematografica: La ragazza con l’orecchino di perla
Il mio giudizio: delicato come una pennellata, intenso come il blu oltremare. L’arte e la narrazione si mescolano come olio e pigmenti, rivelando mille sfumature: i quadri di Vermeer prendono vita, si rivelano, diventano i personaggi di contorno alla protagonista.
Visto le poche informazioni che abbiamo sulla vita del pittore, questa è una bellissima leggenda a cui è un piacere credere.
★★★★★

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La storia della nascita del quadro più famoso di Vermeer ci viene raccontata dalla sua modella.
Siamo nel 1664. Griet è una giovane donna, figlia di un decoratore di piastrelle protestante di Delft. Obbligata dalle circostanze economiche precarie della famiglia, si vede costretta a lasciarla per andare a servizio presso un’altra più agiata: quella cattolica del pittore Jan Vermeer.

Griet china la testa e accetta il suo destino. Lavora duramente, sostituisce la fantesca Tanneke nelle mansioni più faticose, cerca di mantenere salda la sua fede, resiste ai dispetti di una delle figlie del pittore, sopporta le angherie di sua moglie e si ammanta di un timore reverenziale verso il suo padrone, il quale l’ha incaricata di pulire l’atelier in cui dipinge.

Così la sua esistenza si divide in due: fuori dalla casa c’è la vita vera, la sua famiglia e il figlio del macellaio che le fa la corte. Dentro, invece, nell’atelier, c’è un mondo ovattato fatto di silenzi e pose; è il luogo più gelido dell’abitazione ma nonostante questo Griet ne ricava sempre un gran calore, soprattutto quando c’è il suo padrone con lei. Non sa perchè. Sa solo che lì si sente libera.

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Si tiene tutto dentro, Griet, dalle grida ai sospiri. I suoi gesti sono cadenzati e misurati tanto più è grande la passione che la muove. Dietro le gote pallide del viso sempre chino sulle faccende domestiche brucia un fuoco, scarlatto come i capelli che tiene segregati sotto la cuffia e che non mostra mai a nessuno.

I capelli li avevo lunghi e ribelli. Quando erano scoperti sembravano i capelli di una Griet diversa: una Griet abituata a sostare in un vicolo, sola con un uomo, una Griet non così tranquilla, silenziosa e pura. Una Griet non diversa dalle donne che usavano stare con la testa scoperta. Per questo tenevo i capelli ben nascosti, perchè non emergesse alcuna traccia di quella Griet.

Ma Griet non è soltanto una domestica. Ha un’anima artistica, va oltre le apparenze, sa cogliere il significato dei dettagli. Vermeer se ne accorge.
Si nutre del talento della ragazza tanto da volerla come aiutante nel suo atelier, tanto da affidarle la macinatura dei colori, tanto da interessarsi al suo parere così come il più facoltoso dei mecenati di Vermeer – Van Ruijven – si interessa alla sua bellezza carnale e gli ordina un suo ritratto, a tutti i costi.

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Griet e Vermeer si trovano costretti ad accontentarlo, in segreto. Passano ore a guardarsi negli occhi senza dirsi niente, rivelando tutto. Superano insieme la linea che non avrebbero dovuto nemmeno calpestare, e così facendo consegnano alla storia un quadro perfetto e iconico.
Ma certe scelte si trascinano dietro conseguenze inevitabili. E il destino di Griet, ancora una volta, viene messo in gioco.

Raggiunsi il centro della piazza e mi fermai là dove quel cerchio di mattonelle disegnava la stella a otto punte. Ogni punto indicava una direzione che avrei potuto prendere. […] Quando feci la mia scelta, quella che sapevo di dover fare, misi i piedi attentamente lungo il raggio di quella punta e seguii la via che mi indicava, camminando a passi decisi.

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❝ Sembrerò morto, e non sarà vero ❞ [Antoine de Saint-Exupéry]

31 venerdì Lug 2015

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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il piccolo principe, letteratura, libri, Saint-Exupéry, seconda guerra mondiale, storia

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“Il Piccolo Principe” è il libro più tradotto al mondo.
Nel 1943 furono gli statunitensi i primi a pubblicarlo e a dare il via al suo straordinario successo. Tradotto in 250 lingue e stampato in oltre 134 milioni di copie in tutto il mondo, costituisce una sorta di educazione sentimentale ed è illustrata da una decina di acquerelli dell’autore stesso – Antoine de Saint-Exupéry – con disegni semplici e un po’ naïf.

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Ma Saint-Exupéry non era soltanto uno scrittore. Era un aviatore – come la voce narrante del suo libro più famoso – e un visionario, amante della vita e continuamente con la testa tra le nuvole, in tutti i suoi significati possibili.

Come capitano di complemento si arruolò nell’Armée de l’air durante la Seconda Guerra Mondiale, chiedendo il comando di una squadriglia di caccia. A causa della sua età (aveva 39 anni) e delle sue condizioni fisiche, la domanda non venne accolta e fu destinato a una squadriglia di ricognizione aerea.

Il 31 luglio del 1944, alle 8.25 di un caldo mattino estivo, Antoine de Saint-Exupéry decollò con un aereo F-5 da ricognizione dalla base militare di Borgo per una missione cartografica destinata a stabilire precise mappe in vista dello sbarco degli Alleati in Provenza. Si trattava dell’ultima di una serie di cinque missioni fra la Sardegna e la Corsica. Non fece mai ritorno.
Era diretto verso Lione e sorvolava il Tirreno quando venne abbattuto da un pilota tedesco della Luftwaffe. Il suo aereo precipitò in prossimità dell’Île de Riou e per anni non si seppe nulla sulle circostanze della sua fine.

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Sembra anche che prima del decollo, Antoine avesse confessato ad un amico: “Vorrei sparire come il mio Piccolo Principe”. Un presagio, forse. Si sentiva vecchio, anche se aveva appena compiuto 44 anni. Questo alimentò le voci di un suicidio oltre che di un guasto tecnico ma poi la verità, piano piano, venne a galla.

I primi pezzi del velivolo – modificato per le riprese aeree e disarmato – vennero trovati nel 2000 da un sub professionista, Luc Vanrell, che si era immerso nello stesso tratto di mare in cui, due anni prima, era rimasto impigliato nelle reti di un peschereccio un braccialetto di metallo con incise le parole “Saint-Ex“, quello della sua compagna argentina “Consuelo“, e la scritta “Reynal and Hitchcock. Inc. – 386 4th Ave. N.Y. City USA“, il nome e l’indirizzo dell’editore americano de “Il Piccolo Principe”.
Jean-Claude Bianco, colui che ripescò il monile, avrebbe poi ributtato in mare un pezzo di stoffa trovato insieme al bracciale: probabilmente si trattava di un brandello della tenuta di volo del pilota. Era in seta naturale e potrebbe perciò conservarsi sott’acqua per secoli.

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La scoperta di un motore tedesco vicino al relitto Lightning P-38 di Saint-Exupéry – identificato nel 2004 grazie al numero di serie impresso su alcune parti del velivolo ripescate dal fondale – deviò le ricerche in Germania.
Nel 2008 l’ottantotenne Horst Rippert, ex asso dell’aviazione nazista d’istanza proprio in Provenza, svelò il segreto che aveva tenuto nascosto per 64 anni: confessò di aver abbattuto col suo Messerschmitt Bf 109, proprio nella notte del 31 luglio 1944, un F-5.

Horst Rippert in una foto del 1944.

Horst Rippert in una foto dell’epoca.

Raccontò in un’intervista al quotidiano francese La Provence:
“Dopo averlo inseguito dissi fra me e me: amico mio, se non sparisci ti distruggo. Sono sceso in picchiata verso di lui e ho sparato, non sulla fusoliera, ma sulle ali. L’ho colpito ed è finito diritto nell’acqua. Si è schiantato in mare. Nessuno è saltato, il pilota non l’ho visto. Soltanto dopo ho saputo che si trattava di Saint-Exupery. Ho sperato che non fosse lui, ho continuato a sperarlo. Nella nostra giovinezza l’avevamo letto tutti, adoravamo i suoi libri. Sapeva descrivere il cielo in modo fantastico, i pensieri e i sentimenti dei piloti. La sua opera ha ispirato tanti di noi, era un personaggio che amavo molto. Se avessi saputo, non avrei sparato. Non su di lui“.

Le opere di Saint Exupery, infatti – specie “Terra degli Uomini” e “Volo di notte” – furono fonte d’ispirazione per una intera generazione di piloti, Rippert incluso.

La Francia lo ricorda e lo commemora. Gli è stato intitolato l’aeroporto di Lione e su un pilastro del Panthéon a Parigi, nel tempio della razionalità, c’è una targa che ricorda l’arte e la triste sorte del poeta francese.

Targa commemorativa al Pantheon: "In memoria di Antoine de Saint Exupéry,  poeta, romanziere e aviatore  scomparso nel corso di una missione  di ricognizione aerea  il 31 luglio 1944".

Targa commemorativa al Pantheon: “In memoria di Antoine de Saint Exupéry, poeta, romanziere e aviatore scomparso nel corso di una missione di ricognizione aerea il 31 luglio 1944”.

Il mistero che avvolge Antoine de Saint-Exupéry perdura ancora oggi. Le sue spoglie non furono mai ritrovate e la sua leggenda continua ad affascinare generazione dopo generazione.
Colui che è nato nel cielo e che ora riposa nel mare, colui che non ha tomba, il padre di uno dei personaggi letterari ormai immortali, continua a vivere tra le pagine delle sue opere, negli occhi di chi lo legge e nei cuori di chi sa apprezzarlo.

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“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi. […] E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.
(da “Il Piccolo Principe”)

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❝ Noi non combattiamo per quelli che vivono oggi, ma per coloro che verranno ❞ [Maximilien de Robespierre]

28 martedì Lug 2015

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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francia, parigi, passato, rivoluzione francese, robespierre, storia

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Oggi, nel 1794, Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre – l’Incorruttibile – veniva ghigliottinato a Parigi in Place de la Revolution.
Il karma, verrebbe da pensare. Ma andiamo per ordine.

Devoto alla causa rivoluzionaria della Repubblica francese fino al sacrificio della vita stessa, Robespierre fu uno dei massimi esponenti del Terrore: una fase storica caratterizzata dal predominio politico dei membri del Comitato di Salute Pubblica che mirava a schiacciare tutti gli oppositori interni della Rivoluzione e combattere con maggiore efficacia la guerra esterna contro le monarchie europee dell’Ancien Régime.

Ritratto di Robespierre, Museo Carnevalet.

Ritratto di Robespierre, Museo Carnevalet.

Un'illustrazione della sala delle Tuileries dove si riuniva il Comitato di Salute Pubblica.

Un’illustrazione della sala delle Tuileries dove si riuniva il Comitato di Salute Pubblica.

I metodi di repressione dell’epoca erano rapidi e inflessibili: tra il 6 aprile 1793 ed il 30 luglio 1794 vennero eseguite, nella sola Parigi, 2663 condanne a morte.

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Una carretta di condannati al patibolo durante il Terrore.

Ad un certo punto, le misure eccezionali emanate durante il Terrore iniziarono a sembrare eccessive e i loro responsabili a essere malvisti dall’opinione pubblica. I nemici di Robespierre misero in giro la voce che volesse distruggere tutto quello per cui si era battuto: ovvero restaurare la monarchia costituzionale istituita nel 1791 – ponendo sul trono il delfino Luigi Carlo, di nove anni, prigioniero alla Tour du Temple dopo l’esecuzione del re e della madre Maria Antonietta – e nominare sé stesso reggente del regno.

Quando Robespierre esitò nel replicare a questi attacchi davanti alla Convenzione, seguì una rissa furibonda. Invano tentò di riprendere la parola, e prima di essere arrestato insieme ai suoi ultimi sostenitori reagì con un’esclamazione rassegnata: “La Repubblica è perduta, i briganti trionfano“.

Jean-Lambert Tallien brandisce il pugnale contro Robespierre durante la seduta della Convenzione del 9 Termidoro.

Jean-Lambert Tallien brandisce il pugnale contro Robespierre durante la seduta della Convenzione del 9 Termidoro.

Nella mattina del 28 luglio 1794, alle 10.30 circa, le Guardie Nazionali fedeli alla Convenzione si impadronirono dell’Hôtel de Ville e arrestarono numerosi dirigenti giacobini fedeli a Robespierre, il quale venne ferito da un colpo di pistola che gli fracassò la mascella. Fu un tentativo di suicidio? Fu veramente il gendarme Charles-André Merda a far fuoco? Alcuni storici sono ancora incerti su quello che successe davvero.
Sta di fatto che tutti i rivoluzionari catturati, pressapoco una ventina, vennero condotti alla prigione della Conciergerie per un formale atto di riconoscimento. La cella in cui venne rinchiuso Robespierre – volere della sorte – era vicina a quella che nove mesi prima aveva ospitato Maria Antonietta, la regina decaduta che egli aveva voluto fortemente portare di fronte al Tribunale Rivoluzionario per rispondere dei crimini contro lo Stato.

I prigionieri vennero quindi inviati, senza processo, dopo circa quattordici ore dalla cattura, alla ghigliottina in Place de la Revolution, tra la folla esultante per la fine del “tiranno”.

L'arresto di Robespierre.

L’arresto di Robespierre.

Valery Jacobi - Robespierre ferito e gli altri arrestati, detenuti in attesa dell'esecuzione sulla ghigliottina.

Valery Jacobi – Robespierre ferito e gli altri arrestati, detenuti in attesa dell’esecuzione sulla ghigliottina.

Robespierre era ferito gravemente, sfigurato, con una vistosa fasciatura alla mascella, e quasi incosciente. Una volta sul patibolo andò incontro alla fine senza dire una parola.
Il suo corpo, come quello degli altri giustiziati, dopo che le loro teste vennero mostrate al popolo com’era uso, finì in una fossa comune del Cimitero degli Errancis, cosparso di calce viva. L’ossario del cimitero venne poi traslato da Luigi XVIII nelle Catacombe di Parigi, dove – tra milioni di resti di nobili e miserabili – è probabile si trovino tuttora quelli dell’Incorruttibile.
Con la morte di Robespierre finì il periodo del Terrore giacobino e si aprì quello più moderato della Convenzione.

Un cunicolo delle Catacombe di Parigi. L'ossario conserva i resti di circa 6 milioni di persone.

Un cunicolo delle Catacombe di Parigi. L’ossario conserva i resti di circa 6 milioni di persone.

Al contrario di Danton – il cui nome fregia una strada, un monumento e alcune placche commemorative – Robespierre suscita ancora una certa paura. Parigi lo ricorda con una stazione della metro (a Montreuil, sulla linea 9) che porta il suo nome. Al numero 398 della rue Saint Honoré c’è una scritta dice che l’Incorruttibile abitava nella casa del falegname Duplay. Resta qualche quadro, qualche stampa, e un ciuffo dei suoi capelli canuti incastonati in un medaglione al Museo Carnavalet.
Poi non c’è altro. Nemmeno una via di Parigi porta il suo nome.

Nonostante le ingiustizie e i numerosi lati oscuri, è opinione assodata che la Rivoluzione francese del 1789 fu una necessità storica. Contribuì a plasmare la società moderna, lasciando in eredità numerose e importanti conquiste nel campo della libertà e della democrazia.
Tuttavia Robespierre rimane ancora oggi una figura storica molto controversa.
Alcuni studiosi l’hanno considerato “il più grande statista apparso sulla scena tra il 1789 e il 1794” [Anatole France] e “il più grande uomo della Rivoluzione e uno dei più grandi della storia” [George Sand]. Altri che era “onesto, sincero, disinteressato e coerente; ma anche codardo, implacabile, pedante, freddo, molto presuntuoso e morbosamente invidioso. Non ha lasciato all’umanità né il bene di un solo grande pensiero né l’esempio di una sola azione nobile o generosa” [George Henry Lewes].

Una statua moderna che ricostruisce l'aspetto di Robespierre, opera di George S. Stuart, Museum di Ventura County, California.

Una statua moderna che ricostruisce l’aspetto di Robespierre. Opera di George S. Stuart, Museum di Ventura County, California.

Tra i contemporanei, Pierre Chaunu, storico francese scomparso nel 2009 che è stato professore all’università di Caen poi di storia moderna alla Sorbona, ci lascia un ritratto ben definito:

“Robespierre era un dittatore, l’uomo di punta del Terrore. Ecco perchè è stato eliminato, anche se c’erano uomini peggiori di lui. Era un mediocre. A 35 anni era un fallito, un piccolo avvocato di provincia senza clienti. Ciò che caratterizza la Rivoluzione è l’ascensione di molta gente mediocre. Guardi come è squallido l’Incorruttibile: è stato educato grazie alla carità della Chiesa, non è riuscito a sposarsi, vive con la sorella e la sfrutta. Perché è rifiutato dai francesi? Perché i francesi hanno rispetto della vita umana. I tribunali rivoluzionari erano un orrore, massacravano alla cieca e Robespierre ne era l’ispiratore. La Rivoluzione aggrediva i popoli europei. Non si vuole comprendere che in Francia si è aspettato il 1860 per fare l’elogio della Rivoluzione perchè gli ultimi sopravvissuti erano morti. Cioè tutti coloro che avevano vissuto quel periodo. Nell’anniversario della sua decapitazione, non deve essere versata neanche una lacrima per Robespierre”.

Fonti:
- Albert Mathiez, Georges Lefebvre, La Rivoluzione francese, Einaudi
- Chi ha paura di Robespierre?

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La Versailles nascosta – Gli Appartamenti Privati della Regina

24 venerdì Lug 2015

Posted by Giorgia Penzo in Parigi è sempre una buona idea

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arte, Maria Antonietta, marie antoinette, parigi, paris, storia, Versailles, viaggi, viaggiare

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Trascendendo dal suo tragico destino, Maria Antonia Giuseppa Giovanna d’Asburgo-Lorena – quindicesima figlia dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria divenuta poi Maria Antonietta di Francia – è diventata gradualmente un’eroina moderna.
Dopo aver lasciato Vienna, il Castello di Versailles fu la sua dimora dal 16 maggio 1770 al 6 ottobre 1789; lì si sposò, divenne regina, partorì i suoi figli e fu la protagonista degli innumerevoli dipinti di corte (moltissimi ad opera di Élisabeth Vigée-Le Brun, la sua ritrattista) che ancora oggi, come un diario, la raccontano.

Maria Antonietta posa con i figli davanti a Élisabeth Vigée-Le Brun in una clip del film

Maria Antonietta posa con i figli davanti a Élisabeth Vigée-Le Brun in una clip del film “Marie Antoinette” (2006)

Successivamente – in piena Rivoluzione – venne trasferita insieme alla famiglia reale al Palazzo delle Tuileries, poi imprigionata alla Tour du Temple e infine – da sola e lontano dai figli – alla Conciergerie, la sua ultima dimora terrena.
Non rimise mai più piede a Versailles. Dopo un processo sommario ad opera dei suoi detrattori, Robespierre in primis, venne condannata alla pena capitale e ghigliottinata il 16 ottobre 1793 nell’attuale Place de la Concorde. Ma Marie Antoniette non morì quel giorno. Non morì mai.

Il suo stile, il suo ricordo e la sua impronta rivivono nelle stanze in cui ha vissuto e che il suo gusto ha plasmato. Gli Appartamenti Privati della Regina ne sono l’esempio più lampante: furono restaurati dopo il ritorno della monarchia alle condizioni in cui vennero lasciate da Maria Antonietta dopo il suo abbandono del palazzo, e insieme al Petit Trianon rappresentano il suo rifugio più intimo.

Il percorso ufficiale alla Reggia di Versailles offre la possibilità di esplorare la parte più famosa del castello, gli splendidi giardini e Le domaine de Marie-Antoinette che comprende il Petit Trianon e l’Hameau. Ma per una vera appassionata della reine tutto questo non basta. :)
Dopo una visita al Musée Carnavalet, che raccoglie molti cimeli dell’ultima monarchia dell’Ancien Régime e della Rivoluzione, i Piccoli Appartamenti della Regina sono una tappa irrinunciabile.

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Medaglione in cristallo e argento contenete dei capelli di Maria Antonietta. Museo Carnavalet, sale della Rivoluzione.

Come vi avevo anticipato, riuscire a conquistare l’accesso alle stanze private di Maria Antonietta non è stato semplice: numero limitato di partecipanti, visite guidate razionate, difficoltà a far combaciare il proprio soggiorno con una delle date disponibili, biglietti che evaporano nel giro di pochissime ore dalla pubblicazione sul sito dello Château.

Una serie di coincidenze e una buona dose (per una volta!) di fortuna hanno fatto sì che riuscissi ad avere accesso a una delle visite in lingua francese il giorno prima del mio rientro a casa. Così il mio sogno si è realizzato il 15 luglio quando ormai, dopo due anni di tentativi, avevo quasi perso le speranze. :)

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Gli Appartamenti Privati della Regina si snodano dietro il Grand Appartement de la Reine. Nel 1779 Maria Antonietta ordinò al suo architetto favorito, Richard Mique, di coprire tutti i muri con un satin bianco decorato con arabesche floreali in oro, di modo da dare coesione decorativa a tutte le stanze dei suoi appartamenti privati.

Pianta del petit appartement de la reine nel 1789: 1 escalier; 2 service de la reine; 3 escalier à l’appartement de la reine au rez-de-chaussée; 4 passage; 5 cabinet de la chaise; 6 cabinet de la Méridienne; 7 bibliothèque; 8 supplément de la bibliothèque; 9 grand cabinet intérieur; 10 arrière cabinet; 11 pièce des bains; 12 chambre des bains; 13 antichambres; 14 escalier de la reine.

Al piano terra si trova la Stanza dei Ritratti. Qui sono conservati quadri meravigliosi della famiglia reale, della regina e delle sue migliori amiche.

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Marie-Antoinette, reine de France (1788) – Elisabeth Vigée Lebrun. Si tratta dell’ultimo ritratto ufficiale di corte.

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La regina abbigliata in stile rococò, con una pettinatura piramidale. (1775)

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La famiglia Imperiale d’Austria – Martin van Meythens

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Marie-Thérèse Charlotte de France, dite Madame Royale et son frère, le dauphin Louis-Joseph Xavier François de France (1784) – Elisabeth Vigée Lebrun

Yolande de Polastron, duchessa de Polignac - Elisabeth Vigée-Lebrun

Yolande de Polastron, duchessa de Polignac – Elisabeth Vigée-Lebrun

Maria Teresa di Savoia-Carignano, Principessa di Lamballe - Antoine Francois Callet

Maria Teresa di Savoia-Carignano, Principessa di Lamballe – Antoine Francois Callet

Al piano nobile si trovano alcune delle sale più famose, come il sontuoso Cabinet Doré. Qui la regina si intratteneva con i suoi cortigiani più fidati per ascoltare musica e suonare; era in questa stanza che spendeva ore e ore con la sua stilista Rose Bertin e la sua ritrattista Élisabeth Vigée-Le Brun, con la quale negli anni sviluppò un rapporto di stima e amicizia.

Attualmente la stanza ci viene presentata nella sua versione “notturna” con tende tirate e luce soffusa per evocare al meglio l’atmosfera delle serate a corte.

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Nella Grande Biblioteca sono conservati alcuni dei libri che Maria Antonietta lesse (o meglio, si fece leggere) durante il suo soggiorno a Versailles. I suoi preferiti erano tascabili, rilegati con una copertina semplice che riportava il suo stemma. Religione e storia erano tra gli argomenti di lettura più consigliati per una regina.

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Accesso alla Piccola Biblioteca affacciata sul Cabinet Doré.

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Grande Biblioteca

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Grande Biblioteca

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Grande Biblioteca

Abbiamo avuto la fortuna di dare una sbirciata al prezioso Cabinet de la Meridienne, restaurato ma non ancora arredato. Questo salottino ottagonale era utilizzato da Maria Antonietta come luogo di ristoro e nicchia in cui passare del tempo con i figli e le amiche più fidate.

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Tutte le mattine la regina sceglieva qui la mise da indossare attraverso una catalogo chiamato Gazette des atours de la Reine, con cui appuntava con degli spilli campioni di stoffa appartenenti agli abiti al suo guardaroba.
Uno degli spilli venne rinvenuto durante i lavori di restauro degli anni ’80. Per secoli era rimasto incastrato tra i legni del parquet.

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Pagina de Gazette des atours de la Reine

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Bauli originali appartenuti a Maria Antonietta

Proseguendo la visita siamo giunti alla Sala da Bagno al primo piano. Questa stanza non era particolarmente amata da Maria Antonietta dal momento che, per i suoi gusti, non tutelava in modo adeguato la sua privacy.

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La regina chiese espressamente di spostare la vasca nella Sala da Bagno al piano terra, più riparata e discreta: boiseries celesti realizzate dai fratelli scultori Rousseau, letto alla Polonaise, dettagli floreali alle pareti… un angolo di pace di cielo e nuvole nella frenesia di palazzo.

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In questa stanza l’artista Isabelle Borchgrave ha composto una mise en scène davvero d’impatto: tre figure evocano la regina Maria Antoinetta nel momento della toletta insieme alla sua Prima Cameriera Madame Campan e un’altra dama al suo servizio.
Per questa installazione non sono state usate stoffe o oggetti d’arredo: i manichini e i vestiti che essi indossano, gli accessori, i decori del tavolo da toletta e delle finestre sono tutti realizzati in carta tinta a pennello, fil di ferro e cartone.

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La Sala da Biliardo si trova nel mezzanino situato al secondo piano, proprio sopra il Cabinet de la Meridienne. Maria Antonietta adorava il bigliardo e ancora di più amava giocarci con i suoi amici più stretti. Questa stanza è tenuta costantemente in penombra per evitare che la luce del sole possa rovinare le tappezzerie bianche e oro ricamate a mano.

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In fondo, sulla sinistra: baule dei gioielli di Maria Antonietta decorato con porcellane di Sevres.

Nella miriade di cunicoli, stanze secondarie, rampe di scale e corridoi che abbiamo attraversato, uno più di tutti mi ha fatto trattenere il respiro: si tratta del corridoietto utilizzato da Maria Antonietta nella notte del 5 – 6 ottobre 1789 durante l’assalto a Versailles per fuggire dalla sua camera da letto.

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Il pertugio si affaccia proprio sulla porta seminascosta che si apre sulla Chambre della Reine.

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Una volta terminato il giro e imboccata la strada verso l’uscita che ci ha riportato nel cortile della reggia, il primo desiderio è stato quello di ritornare il prima possibile per ripetere l’esperienza. Magari per assaporare i dettagli che l’eccitazione del momento non mi ha permesso di cogliere. :)
Una visita unica e piena di emozioni, tante. Così intense che ci ho messo qualche giorno per realizzare di essere stata realmente nei luoghi che per tanto tempo avevo potuto vedere soltanto in foto.

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Per avere un assaggio di questi luoghi e degli altri toccati da Maria Antonietta, vi consiglio la guida illustrata di Cécile Berly Le Versailles de Marie Antoinette e il libro di Alice Mortali Guida alla Parigi di Maria Antonietta.

Nessuna fotografia o descrizione, per quanto bella o accurata, potrà mai rendere l’idea della suggestione e della storia che si respira in quelle stanze. Di sicuro però potranno ispirarvi, farvi sognare. E forse convincervi a passare un pomeriggio dove la reine e le sue dame, anche se invisibili, sono più presenti che mai.

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La Parigi che non ti aspetti

17 venerdì Lug 2015

Posted by Giorgia Penzo in Parigi è sempre una buona idea

≈ 51 commenti

Tag

arte, cultura, musei, parigi, paris, storia, viaggi, viaggiare

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Parigi è una sorpresa continua.
Ogni volta cerco di centellinare le cose da vedere, in modo da avere un pretesto per tornarci il prima possibile. Di solito organizzo i miei viaggi nei dettagli con mesi di anticipo. La partenza della settimana scorsa, infatti, non era in programma.
Dopo la trasferta invernale credevo che avrei dovuto aspettare ancora un bel po’ prima di rivederla. Invece è successa e basta, all’improvviso, e a un: “Andiamo?” della persona giusta non ho saputo tirarmi indietro.
Quando Parigi capita è ancora più bella.

Anche in questa occasione non sono mancate le visite obbligate.
Il saluto a Notre-Dame appena arrivata in centro ormai è una tradizione. Lì, sul Pont Saint-Michel, a pochi passi dalla piazza della cattedrale, l’emozione e la felicità prendono il sopravvento come se fosse sempre la prima volta.

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Poi la puntatina al Musée d’Orsay, la culla dell’Impressionismo e dell’Art Nouveau. Purtroppo solo là ho scoperto che il quadro di Van Gogh che preferisco – La notte stellata – si trova in prestito a Oslo fino a settembre per l’esposizione Van Gogh + Munch.
Sarà per la prossima volta. :D

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Infine un tuffo al Louvre soltanto per lei: la meravigliosa Nike di Samotracia, fresca di restauro. Abbagliante.

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Ma la Parigi che non mi aspettavo non è stato solo il viaggio in sé. Mi sono imbattuta in tre avventure non convenzionali che mi hanno mostrato un altro lato della Ville Lumière, quello che forse esula un po’ dalle mete turistiche standard.

La prima è stata la visita alle Fogne di Parigi, la città sotto la città.

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Un luogo insolito, direte voi. Avete ragione, lo è. Così com’è anche interessante, suggestivo, atipico, reale. Parigi è anche questo.
Si tratta di chilometri di cunicoli nelle viscere della città, attraversati dalle acque chiare e non (odore pesante compreso ma sopportabilissimo).
Dentro questo labirinto si dirama un museo che racconta la storia delle fogne dagli albori fino ai giorni nostri, i principi di alimentazione dell’acqua potabile, le tecniche di pulitura e la lotta combattuta nei secoli per preservare l’equilibrio ecologico della città.
Il museo è ospitato nella Galleria Belgrand, colui che nel 1850 concepì la rete fognaria di cui Parigi è attualmente dotata.

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Ed è proprio in questi canali che Victor Hugo ambientò la fuga di Jean Valjean e Marius nel suo romanzo capolavoro I Miserabili.

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La seconda è stata la scoperta dei Passages Couverts grazie al consiglio di un’amica. :)
I Passages fanno la loro apparizione nella capitale francese verso la fine del 18° secolo. Costruiti prevalentemente in ghisa e vetro – che diffonde tutt’intorno una luce particolarissima – permettevano alla clientela agiata che li utilizzavano di passare da una via all’altra, curiosare tra le vetrine e nelle librerie, fare compere o ristorarsi in un café protetti dalle intemperie, dalla circolazione stradale, dal rumore e dall’inquinamento.

La maggior parte furono costruiti sulla rive droite della Senna, soprattutto nel quartiere dei Grands Boulevards. Ma con l’avvento dei grandi magazzini e della rivoluzione architettonica, queste oasi di Belle Époque isolate dalla frenesia cittadina persero via via d’importanza.
Oggi di significativi se ne contano appena una decina, tra cui la raffinata Galerie Vivienne.

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Inglobata al piano terra di un grande palazzo (come la maggior parte dei passages) e lunga 176 metri, naque nel 1826 come galleria per negozi e boutique di lusso. Tuttora ne conserva le caratteristiche e l’aspetto ancora molto elegante.
I mosaici al suolo, le decorazioni fatte di archi, gli ornamenti e la tettoia in vetro si sono conservate in ottimo stato fino ai giorni nostri.
Mentre si cammina sotto la volta trasparente è impossibile non immaginare d’indossare un lungo abito di fine Ottocento. Passeggiare in questa galleria è davvero un tuffo indietro nel tempo.

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La terza avventura – la più indimenticabile – è stata quella del pomeriggio del 15 luglio.
Dopo due anni passati invano a monitorare il sito dello Château de Versailles nel tentativo di rientrare nel numero limitatissimo di accessi consentiti, sono riuscita a prenotare una visita guidata agli Appartamenti privati della Regina.
Ma questa esperienza merita un articolo tutto suo. :)

Vi do appuntamento alla prossima settimana per condividere con voi fotografie e sensazioni di una giornata che mi rimarrà nel cuore per sempre.

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❝ Il profumo è fratello del respiro. Con esso penetrava gli uomini, a esso non potevano resistere, se volevano vivere. ❞

02 giovedì Lug 2015

Posted by Giorgia Penzo in Recensioni e dintorni

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book, leggere, letteratura, libri, parigi, profumo, recensione, romanzo, storia

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Titolo: Il profumo (Das parfum)
Autore: Patrick Süskind
Pagine: 260
Genere: romanzo storico/thriller
Editore: Longanesi
Dove trovarlo: Amazon
Versione cinematografica: Profumo – Storia di un assassino
Il mio giudizio: narrazione ricca di dettagli e descrizioni, surreale, a volte lenta ma mai pensante.
Come un profumo, le emozioni che regala questo romanzo non arrivano tutte insieme. Si fanno largo poco a poco e spesso confliggono tra loro. Quindi può capitare che appena finito un capitolo ci si senta incredibilmente soddisfatti di come sia andata e poi, dopo qualche ora, orfani di qualcosa a cui non sappiamo dare un nome.
Da maneggiare con cautela. ★★★★✩

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Jean-Baptiste Grenouille nasce sotto la bancarella di una pescivendola nella Parigi maleodorante del Diciottesimo secolo. La sua esistenza comincia nel basso, tra i topi e le interiora di pesce dove sarebbe dovuto morire, e nel basso prosegue. Grenouille è brutto, zoppo, gobbo, rachitico, insignificante, attaccato alla vita come una zecca. Odia gli uomini e il puzzo che emanano; li evita, si esilia dal loro mondo e poi li usa per indagare con meticolosità il segreto dei profumi che lo circondano. Fino a che, un giorno, i fiori non gli bastano più.

Guidato dal cinismo e dall’olfatto sovrannaturale di cui è dotato, insiste nel catturare le essenze delle cose inanimate. Con perseveranza ottiene qualche flebile risultato che lo sprona a continuare. Quando – tramite un macchinoso procedimento imparato nel suo peregrinare tra botteghe profumiere – riesce a impadronirsi dell’anima odorosa di un cucciolo di cane, uccidendolo per ingabbiare intatto il suo aroma, il destino di Grenouille è segnato. Sa bene quale sarà il prossimo passo. Niente e nessuno potrà fermarlo, se non se stesso.

Note di testa, note di cuore, nota di fondo. Venticinque bellissime vergini di Grasse. Una boccetta contenente un liquido capace del potere invincibile di suscitare l’amore negli uomini…
Il profumo è tutto questo. Racconta la vita di un bambino nato senza amore, cresciuto senza amore, e che senza l’amore a fargli da scudo diventa un assassino. Un uomo senza un odore proprio, quindi senz’anima, insensibile alla pietà e pericoloso quanto il diavolo. Un antieroe, alla stregua del Caino di Saramago, che il lettore non riesce a disprezzare. Grenouille è l’efferato dio dei profumi, nel cui regno non esiste redenzione; quasi si prova pietà per la pochezza del suo spirito, e ammirazione per le sue doti inarrivabili.

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Eppure lui non è un essere umano come tutti gli altri. Non usa il suo dono per arricchirsi come invece farebbe un artista qualunque. Grenouille cerca la perfezione, l’apice, l’assoluto. Non importa a che prezzo. E quando finalmente la trova, alla stregua di un artista logorato dal proprio genio, non riesce a compiacersene. È l’insoddisfazione a guidargli la mano dell’ultimo gesto della sua miserabile esistenza.
Così Jean-Baptiste Grenouille scompare dalla storia, dai ricordi di tutti; il suo passaggio sulla terra lascia una scia di lacrime ed estasi che presto viene assorbita nella routine quotidiana. Tutto ritorna alla normalità. Le sue malefatte si diradano nella nebbia degli anni e non ne rimane traccia, nemmeno un sentore. Nemmeno il profumo.

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Un passo avanti nella notte, un passo indietro nella storia

03 mercoledì Giu 2015

Posted by Giorgia Penzo in I miei viaggi, Quel che oggi ormai è storia

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antica roma, cesare, fori imperiali, notte, piero angela, Roma, storia, viaggi

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Ci sono viaggi che si possono fare soltanto nel cuore della notte. Uno di questi è l’archeoshow curato da Piero Angela e Paco Lanciano, un tour che ci porta a riscoprire in modo inedito alcuni luoghi di quella che fu la capitale del mondo conosciuto.

Viaggi nell’Antica Roma propone due percorsi e narra due storie. Nel mio ultimo soggiorno nella capitale ho avuto la fortuna di partecipare a quello nel Foro di Cesare, nei pressi dell’imponente Colonna Traiana. L’orologio segnava le ore 23.20. :)

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In questo allestimento rievocativo, si attraversa il Foro di Traiano su una passerella appositamente realizzata e si percorre la galleria sotterranea dei Fori Imperiali, aperta per la prima volta dalla fine degli scavi del secolo scorso, raggiungendo il Foro di Cesare.
Si cammina direttamente all’interno del Foro, tra i marmi rimasti mentre sistemi audio con cuffie, luci, ricostruzioni grafiche e filmati fanno rivivere quei luoghi come erano 2000 anni fa. A dir poco suggestivo.

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All’inizio della visita si attraversa un tunnel sotto il viale dei Fori Imperiali e si vedono proiettati i filmati originali dei lavori di demolizione e restauro avvenuti negli anni ’30, quando fu deciso di riportare alla luce l’intera area dei fori.

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Usciti dalla galleria sotterranea, la voce di Piero Angela ci accompagna in una passeggiata dell’enorme Piazza del Foro che all’epoca era circondata da grandiosi colonnati e dominata dal maestoso tempio di Venere Genitrice.
Tra i colonnati rimasti, riappaiono le taberne del tempo e i graffiti di una scuola romana, con i primi versi dell’Eneide.

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La visita rievoca il ruolo del foro nella vita dei romani ma anche la figura di Giulio Cesare. Per realizzare questa grande opera, Cesare dovette espropriare e demolire un intero quartiere con un costo complessivo di 100 milioni di aurei (l’equivalente di circa 300 milioni di Euro). E volle anche che, proprio accanto al suo Foro, fosse costruita la nuova sede del Senato romano, la Curia. Un edificio che ancora esiste e che, attraverso una ricostruzione virtuale, si può rivedere come appariva all’epoca.

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Foro di Cesare

Il buio morbido e la bellezza delle rovine ci danno un ultimo abbraccio sulla passerella che ci riporta nel mondo moderno. I gatti di casa nei Fori miagolano mentre dalla notte di alza un venticello frizzante.
La voce di Piero Angela fa calare il sipario su questa magica passeggiata e ci lascia con un ultimo pensiero: una congiura di senatori uccise Giulio Cesare nelle Idi di Marzo del 44 a.C. Era un uomo intelligente e ambizioso, idolatrato da alcuni, odiato e temuto da altri. La storia ce l’ha consegnato come un grande personaggio del suo tempo e i Fori da lui tanto voluti ne testimoniano la grandezza. Non avrebbe mai potuto immaginarne le evoluzioni, né che sarebbero arrivati fino a noi con un carico inestimabile di arte e sapere.

Il suo corpo venne innalzato su una pira funeraria che bruciò per due giorni; le sue ceneri si dispersero nei Fori e lì tuttora riposano. Ma nonostante siano passati millenni, Cesare non è stato dimenticato. E così molto spesso accade che, nel luogo dove venne cremato, qualcuno – ancora oggi – vi deponga un fiore.

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Così sarà, mormori chi vuole

19 martedì Mag 2015

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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anna bolena, enrico VIII, inghilterra, londra, regina, ricordo, storia

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Oggi, nell’anno 1536, Anna Bolena saliva gli scalini del patibolo sul lato nord della White Tower.
Era la seconda moglie di Enrico VIII, la donna di cui si era innamorato al punto da rinnegare Roma. Aveva scalzato Caterina d’Aragona, ottenuto di essere incoronata regina, diviso il popolo e ammaliato il re fino a costringerlo a fondare la sua Chiesa.
Anna aveva commesso un singolo errore: non concepire un maschio, l’erede al trono. L’unica figlia nata dall’unione col sovrano, Elisabetta, non era una ricompensa sufficiente per tutto quello che Enrico aveva sacrificato per averla.
Così la passione si trasformò in astio; l’amore in odio; il gesto avventato di un re nel maleficio di una strega. Una strega dai capelli scuri il cui motto era: “la più felice“. Ed Enrico decise di disfarsene.

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Scuola francese del XVI secolo. Ritratto di Anna Bolena.

Il processo di Anna Bolena fu una cinica operazione, montata all’unico scopo di condannarla a morte; a tanto si doveva arrivare affinché il terzo matrimonio nel re risultasse limpido come la reputazione della nuova amata.
Anna venne accusata di adulterio, incesto col fratello e pratiche demoniache allo scopo di soggiogare il re. La sua innocenza è certa. La regina non ammise mai alcuna colpevolezza e tutte le prove portate contro di lei non ammontano che a un insieme di mezze verità e di vere e proprie bugie.

Andarono a prenderla nella sua prigione la mattina presto di venerdì 19 maggio, attorno alle otto. Indossava un mantello di ermellino sopra una tunica di damasco verde scuro con guarnizioni di pelliccia e una sottoveste color cremisi. Una cuffia di lino bianco le avvolgeva i capelli sotto il copricapo. Le parole che rivolse alla folla davanti al patibolo furono poche e molto toccanti:
“Signori, mi sottometto umilmente alla legge poiché la legge mi ha giudicato. Quanto alle mie colpe, non accuso nessuno. Dio le conosce, e a Lui le rimetto, supplicandolo di avere pietà di me. Che Cristo salvi il re, mio sovrano e signore, il più buono, nobile e gentile principe che vi sia, che regni a lungo su di voi“.

Il momento dell'esecuzione raccontato dal film

Il momento dell’esecuzione raccontato dal film “L’altra donna del re”.

Poi Anna s’inginocchiò. Le dame le tolsero il copricapo. I folti capelli neri, trattenuti dalla cuffia, lasciavano libero l’esile collo. Agli spettatori parve che improvvisamente il boia le staccasse la testa come un sol colpo con la spada che gli si era materializzata tra le mani come per magia, senza che nessuno lo notasse. In realtà la famosa “spada di Calais” era nascosta sotto la paglia sparsa attorno al ceppo. Perché la condannata tenesse la testa nella posizione giusta e non si girasse istintivamente indietro, il boia gridò a qualcuno che stava sui gradini del palco: “Portatemi la spada“.
Anna volse la testa. E tutto fu finito.

Targa presente alla Torre di Londra che identifica il luogo dove venne eretto il patibolo.

Targa presente alla Torre di Londra che identifica il luogo dove venne eretto il patibolo.

Anna Bolena aveva trentacinque o trentasei anni. Non era nata principessa, eppure era stata regina per tre anni e mezzo; soltanto da quattro mesi era morta quella che l’aveva preceduta. Corse voce che il giorno prima dell’esecuzione i ceri attorno alla tomba di Caterina, nella cattedrale di Petersbourgh, si fossero accesi da soli. In varie parti del paese la gente vide passare lepri in corsa (animale simbolo delle streghe); lo stesso fenomeno sarebbe stato osservato per anni a venire il giorno dell’anniversario dell’esecuzione.

Il sogno di Enrico VIII non si avverrò mai. Nessuna delle sue sei mogli riuscì a dargli un erede maschio che vivesse abbastanza per regnare stabilmente sull’Inghilterra. Nella morte, Anna Bolena ebbe la sua vendetta: era la madre dello Scisma Anglicano e sarebbe stata anche quella di una grande regina. La figlia Elisabetta Tudor succedette al padre e divenne uno dei sovrani più longevi, influenti e amati della storia.

Elisabetta I nel giorno della sua incoronazione. Il ritratto è del primo decennio del XVII secolo ed è una copia dell'originale del 1559, andato perduto.

Elisabetta I nel giorno della sua incoronazione. Il ritratto è del primo decennio del XVII secolo ed è una copia dell’originale del 1559, andato perduto.

Oggi i resti di Anna Bolena riposano sotto il pavimento marmoreo della chiesa di San Pietro ad Vincula – la cappella reale della Torre di Londra – vicino a quelli di un’altra moglie di Enrico VIII, la cugina Catherine Howard. Il suo scheletro venne identificato solo in occasione dei lavori di ristrutturazione dell’edificio religioso nel 1876, durante il regno della regina Vittoria.
C’è chi dice che, di notte, il suo fantasma vaghi ancora nei cortili deserti della Tower. Una figura pallida, elegante, che sottobraccio porta con sé la propria testa…

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Fonte: "Le sei mogli di Enrico VIII", Antonia Fraser.

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Le madri nascoste dell’era Vittoriana

10 domenica Mag 2015

Posted by Giorgia Penzo in Arte ~ Cultura, Quel che oggi ormai è storia

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1800, bianco e nero, festa della mamma, foto, fotografia, mamma, photo, storia, vittoriana

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Al giorno d’oggi fotografare un bambino e ottenere un risultato soddisfacente non è poi un’impresa così ardua.
Viviamo nell’era degli smartphone e delle fotocamere digitali: non consumiamo pellicola, il click dell’otturatore è immediato e spesso la qualità dell’immagine è molto alta. La scarichiamo sul pc, ottimizziamo l’esposizione con un programma di fotoritocco gratuito, e il gioco è fatto.
Se il nostro pargolo piange, sbatte le palpebre, si contorce, non sta fermo, si addormenta o sbava, pazienza; possiamo rimandare, o scattare quasi all’infinito fino a che non otteniamo la foto perfetta da tenere con noi in ufficio.

Ma per un genitore del 19° secolo era molto più complicato avere una foto del proprio bambino.
La gentildonna di turno avrebbe dovuto vestire il figlio con l’abito inamidato più bello del corredo, trasportarlo insieme ai suoi (numerosi) fratelli nello studio fotografico più vicino – possibilmente la mattina presto quando c’era la luce migliore – e magari organizzare un gruppo famigliare che facesse da contorno; quindi obbligare tutti a stare completamente immobili per 30 secondi o giù di lì, spendere una discreta somma di denaro e attendere diversi giorni per ricevere le copie del prodotto finito, da mandare poi ad amici e parenti o da tenere nell’album di famiglia.
Ora, convincere un adulto a stare impassibile per mezzo minuto per permettere all’immagine d’imprimersi sul collodio umido era una sfida.

ffff

Aspettarselo da un bimbo o da un neonato era praticamente impossibile. Insieme agli anziani – irritabili e traballanti – i bambini erano i soggetti più difficili da immortalare. I fotografi dell’epoca avevano infatti bisogno di molta luce e pazienza. Servivano 18-30 secondi d’immobilità per ottenere un negativo chiaro.

Per questo motivo ovviarono al problema con un escamotage tanto infallibile quanto inquietante: l’unico modo per riuscire ad avere un’immagine nitida e rilassata del bambino era che questi fosse in braccio o vicino alla sua mamma; ma dal momento che il desiderio era quello di ritrarre unicamente il figlio, le madri si nascondevano sotto drappi scuri nel tentativo di mimetizzarsi con il fondale.

Il risultato è una sfilza di frugoletti senza sorriso, accomodati su sedie dall’aspetto strano oppure appoggiati a bozzi floreali senza forma che in realtà sono le loro madri.
Anche se le immagini risultano essere abbastanza definite, a causa del processo fotografico in voga sul finire del 1800 hanno tutte un aspetto un po’ spettrale: i bianchi non sono bianchi ma una sorta di beige incombente, e le oscure figure drappeggiate delle donne sullo sfondo fanno sembrare il bambino e la madre in bilico tra un mondo e l’altro.

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Queste immagini sono toccanti per un’infinita serie di ragioni, ma anche perché pochissime mostrano bambini con espressioni felici. Il sorriso di un bambino è troppo naturale e volatile per sopportare tempi d’attesa tanto lunghi; così i fotografi chiedevano (a loro e a tutti quanti) di fissarsi in un’imperscrutabile espressione di saggezza ben più facile da tenere.

Alla Festa della Mamma si festeggiano tutte le mamme, nessuna esclusa, anche quelle che quasi 150 anni fa stavano nascoste sotto pesanti tende broccate per far sì che i figli avessero un ricordo della propria infanzia. E mentre tutti – dal fotografo ai propri cuccioli – erano seri e concentrati, lì sotto, dove nessuno poteva vederle in viso, sicuramente sorridevano.

Fonte: The lady vanishes: Victorian photography's hidden mothers

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Maria Antonietta e Enrico VIII: due sovrani, una biografa

03 martedì Mar 2015

Posted by Giorgia Penzo in Recensioni e dintorni

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Tag

Antonia fraser, biografia, enrico XVIII, Maria Antonietta, marie antoinette, mondadori, recensione, saggistica, storia

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TITOLO: Maria Antonietta – La solitudine di una regina
AUTORE: Antonia Fraser
GENERE: saggistica storica
PAGINE: 554
EDITORE: Mondadori
COLLANA: Oscar Storia
DATA DI USCITA: 2004
DOVE TROVARLO: nelle migliori librerie o su Amazon

Un libro che conquista da subito. La puntigliosa ricerca della Fraser per ogni dettaglio si fa sentire già dai primi capitoli, in cui introduce la vita della famiglia d’origine di Madame Antoine.
Ben presto ci rendiamo conto che all’epoca essere donne nobili e di altro rango era tutt’altro che una favola, anzi. I lieto fine erano una pallida speranza delle principesse che – spesso ancora bambine – dovevano accontentarsi di essere solo preziose pedine di un gioco più grande di loro.

Antonia Fraser mescola verità storiche a uno stile romanzato e scorrevole, facendo rivivere in modo nitido nella mente del lettore le atmosfere delle case reali d’Austria e Francia. La vita dell’arciduchessa prima e della delfina/regina poi viene sviscerata sin nel suo più intimo particolare, come anche i costumi e i rituali della corte di Versailles.

La sfortunata Maria Antonietta che l’autrice racconta è l’emblema di una virtù che manterrà costante per tutta la sua vita, fino all’ultimo istante: la dignità, contro la barbarie e la crudeltà toccata a lei e al figlio Luigi Carlo.
L’interrogativo girata l’ultima pagina è lo stesso che attanaglia ogni grande personaggio della storia: vittima e martire oppure causa del suo stesso male? Da qualsiasi parte si schieri il lettore, l’unica cosa certa è che non può rimanervi indifferente.

Un libro ottimo, discusso, a tratti commovente. Su questa biografia si basa Marie Antoinette, film del 2006 diretto da Sofia Coppola con protagonista una superba Kirsten Dunst nel ruolo dell’ultima regina dell’Ancien Régime.

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TITOLO: Le sei mogli di Enrico VIII
AUTORE: Antonia Fraser
GENERE: saggistica storica
PAGINE: 522
EDITORE: Mondadori
COLLANA: Oscar Storia
DATA DI USCITA: 1996
DOVE TROVARLO: nelle migliori librerie o su Amazon

Antonia Fraser non sbaglia mai un colpo, è una scrittrice nata per appassionare il lettore con il suo stile romanzato e scorrevole. Personalmente trovo che questa sia la sua biografia più avvincente, dopo quella di Maria Antonietta.
Quella che racconta è la storia di sei donne (una sola regina per diritto di nascita, le altre elevate al rango più ambito solo grazie al proprio carattere, alla propria avvenenza o alla propria sventura) e un uomo accecato dal bisogno a tutti i costi di un figlio maschio legittimo, un re assoluto che per trovare giustificazione ai suoi bisogni – diciamocelo – “se la raccontava”.

A un passo da diventare lo zimbello delle teste coronate d’Europa (si dice che la giovane duchessa Cristina di Milano, saputo che Sua Maestà era alla ricerca della quarta moglie, disse che se avesse avuto due teste volentieri una l’avrebbe regalata al re), Enrico VIII è ricordato comunque come un grande sovrano.

Non importa che abbia ripudiato o fatto giustiziare quattro mogli su sei e che uno dei più grandi monarchi che la storia inglese abbia mai avuto sia stata la figlia secondogenita, in barba alle sue speranze di un erede maschio.
In questo libro si parla anche di lui, ma le vere protagoniste sono le donne che hanno contribuito a renderlo una leggenda.

Antonia Fraser ne analizza una alla volta, minuziosamente, intrecciando le loro vite. Per sfortuna, destino o volere di Dio la (loro) storia si è compiuta: non possiamo cambiarla ma solo onorarci di conoscerla, lasciandoci ogni pregiudizio alle spalle. E come recitava il motto di Anna Bolena: “Ainsi sera, groigne qui groigne“. Così sarà, mormori chi vuole.

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Giorgia Penzo, emiliana, ha l'anima un po' incastrata nel passato. Avete presente quegli scomodi abiti vittoriani? Ecco. Lei non vorrebbe indossare altro.
Ama il cinema, la mitologia, l’Art Nouveau, divorare biografie di personaggi storici femminili e scappare a Parigi alla prima occasione.

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