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Buon San Valentino a tutti coloro innamorati di qualcuno che non esiste ♡


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Dalla parte opposta della Senna – sulla Rive Gauche – Rue Bonaparte attraversava il cuore del vi arrondissement con la sua flotta di librai, associazioni letterarie e gallerie d’arte. La posizione centrale, le bellezze architettoniche e la radicata tradizione intellettuale che galleggiava a mezz’aria tra le botteghe, lo rendevano il quartiere più alla moda nonché la zona più ricercata di Parigi.
Gli olfatti sopraffini, passeggiando davanti ai negozi, avrebbero potuto avvertire un turbinio di profumi non comuni: il sentore pungente dei colori acrilici; l’odore dolciastro dell’inchiostro diluito; l’aroma della carta grezza fatta a mano da maestri artigiani, oppure la fragranza farinosa delle colle e delle rilegature dei restauratori di manoscritti.
Dopotutto, in quella via era nato Édouard Manet. All’edificio numero 20 aveva abitato Natalie Barney e le tappezzerie del suo salotto avevano assorbito negli anni i discorsi di Scott e Zelda Fitzgerald, James Joyce e Samuel Beckett. Il ristorante al 30, il Café Pré Aux Clercs, era stato il luogo di ritrovo preferito da Ernest Hemingway mentre lo stabile all’88, per un certo periodo, aveva accolto tra le sue mura Maximilien de Robespierre e tutti i suoi fantasmi. E così all’infinito, probabilmente.
Per ogni numero civico appeso al fianco dei portoni smaltati c’era una storia che aspettava di essere raccontata. Uno dei palazzi a schiera signorili a un passo dalla Scuola Nazionale Superiore di Belle Arti possedeva un sobrio cortile privato con tanto di giardino. Ogni anfratto era tinto dal verde della natura. Il muschio tappezzava le zone in ombra del selciato, mentre una pianta d’edera s’inerpicava sulla parete est, fino alla finestra di una soffitta abitabile arredata nei toni del blu fiordaliso. La mansarda rifletteva un’innata impronta di buongusto. Era raffinata, ma non opulenta; in ordine, ma non scomoda. Non un granello di pulviscolo danzava controluce. Nella saletta i cuscini del divano angolare, affossati al centro, parevano serviti da morbide ciotole per guance e gomiti, e non si erano ancora ripresi dal peso di chi aveva trascorso la giornata in attesa.
Nella stanza attigua, sotto al lucernario che la illuminava, si trovava un pouf con piedini di ferro battuto, comprato in un negozio d’antiquariato del Marais. Seduta da un lato, una ragazza nuda fissava immobile una mensola stipata d’avanzi di candele.
Un drappo di seta candido le copriva l’inguine scendendole lungo la coscia, come un rivolo di latte d’asina rubato a un bagno regale. La punta della treccia spettinata le lambiva appena un seno, roseo e turgido alla stregua di una pesca acerba. Aveva capelli talmente chiari da sembrare argentei e una pelle di luna più morbida di una nuvola di borotalco.
Lei era tante cose: l’autunno nascosto dietro un radioso sorriso di denti perfetti; un uragano trattenuto da un velo di cipria; una tortora addomesticata rinchiusa in una voliera su misura.
«Pélagie, per favore, solleva un po’ il mento. Ancora un po’. Bene, così.»
Un ragazzo scalzo seduto sul pavimento le dava istruzioni. Stava per lo più a gambe incrociate e aveva la camicia bianca puntinata da impronte grigiastre. Armeggiava con occhi e carboncino. Le dita fendevano il foglio intanto che le palpebre andavano su e giù, senza sosta. Spesso girava intorno alla modella in cerca dell’angolazione perfetta per cogliere un dettaglio invisibile. In quel turbinio di giochi di luce, le pupille del giovane si dilatavano e si restringevano, così come le scie di polvere corvina che sfumava o rimpiccioliva con i polpastrelli.
Tratto dopo tratto, sulla superficie dell’album ripiegato prendeva forma il profilo di una ninfa: l’attenzione puntata fuori campo; gli arti esili raggomitolati sul grembo; i ciuffi evasi dalla treccia a incorniciarle il viso costellato di efelidi.
Ma per lui non c’era poesia nel suo schizzo. Quelle linee d’ombra rappresentavano soltanto carne e muscoli. Per vedere oltre gli sarebbe occorsa una luce diversa; un bagliore che nessun abbaino di Parigi o di qualunque altro posto sulla Terra avrebbe potuto regalare a un artista.
Pélagie non parlava al cuore del ragazzo. Nessun sentimento arrivava al suo braccio, tantomeno si propagava alle falangi. Sopra il cartoncino, tormentato dai continui cambi di prospettiva, trasferiva esclusivamente il nero della matita. Disegnava, niente di più. Quando si ritrovò a delineare le iridi, il polso del giovane vacillò.
«Lasciamo perdere. È inutile.» Strappò il foglio dal blocco lanciandolo con rabbia dietro le spalle. «Non capisco perché spreco ancora tempo a fuggire.» Indietreggiò da Pélagie fino a sfiorare la parete di stucco veneziano. «Le mie dita vogliono ritrarre lei e nessun’altra.» Strisciò la schiena contro il muro toccando terra con lo sguardo imbrigliato a quello preoccupato della ragazza. «Io voglio lei. E nessun’altra.»
Quasi si accasciò. Affondò il viso tra le mani sporche e a nulla valsero i tentativi di Pélagie d’attirare la sua attenzione. Il nero si amalgamò alle perle di sudore nascoste dietro i riccioli scuri. Sembrava un minatore stremato dall’ennesimo giorno nella cava;
un uomo abituato a scavare nell’oscurità, intenzionato a trovare la vena di minerale ma destinato ad accontentarsi dei sassi. Pélagie si rannicchiò al suo fianco come un ragnetto stanco di tessere la tela. Lo strinse a sé, senza trarne disagio, e il nero sulla tempia di lui si trasferì alla spalla diafana di lei. Erano strani insieme, mal assortiti quanto un bocciolo di vaniglia sopra una torta di pepe.
«Io sono qui» pigolò. «Puoi baciarmi, toccarmi, prendermi, lasciarmi. E continuerò a essere qui. Perché ti ostini a non vedermi?»
Lo sguardo del ragazzo era perso da qualche parte sul pavimento. «Sono suo, Pélagie» replicò calmo. «Te l’ho già spiegato. Perché ti ostini tu a non ascoltarmi?»
«È da quando ti conosco – quanto, due anni? – che lei spunta fuori a ogni seduta. Ma quella donna non esiste, mentre io sì.» Pélagie raccolse la mano dell’artista e la fece scorrere sul suo fianco nudo. «Perché non ti togli i vestiti e lasci disegnare me?» suggerì suadente.
Lui non reagì. Quando però con dolcezza lo obbligò a risalirle il petto, si ritrasse con altrettanto garbo. «Esiste. Almeno per me» esclamò rialzandosi. Raccolse il bozzetto spiegazzato e lo osservò con piglio critico. «Un giorno farò mie anche le linee del suo corpo, oltre a quelle del suo viso.»
Pélagie indossò annoiata il caftano che all’inizio dell’incontro aveva abbandonato in un cantuccio. «Folle, romantico martire dell’amore.» Nella sua voce si fece largo una nota d’ironia. «Nel frattempo ti eserciti ritraendo il mio?»
«È il motivo per cui ti pago…»
Il ragazzo avvicinò il disegno all’unica candela rimasta accesa sopra la mensola. La carta si brunì, si bordò di fuoco e divampò in una fiamma densa che si estinse quasi all’istante. «…anche se non hai bisogno dei miei soldi» riprese, lasciando che il foglio si consumasse in un piatto ornamentale di bronzo. «Posi per vanità, non per necessità. Ed è per questo che sei la più brava.»
Pélagie lo lasciò fare e si appagò di quel complimento amarognolo. «Iscriviti a Belle Arti. Potresti avermi gratuitamente.»
«Preferisco la pratica da autodidatta. Il mio interesse per l’Arte riguarda i suoi maestri. Sono un loro studioso, non un imitatore.»
La ragazza si accese una sigaretta e si accomodò di nuovo sul pouf. «A conti fatti, sono una semplice modella di anatomia artistica. Con me si fa pratica, come con una prostituta. Sono un esperimento, poco più di uno scarabocchio. Non posso competere col soggetto di un ritratto autentico.»
«Non mortificarti.» Il giovane la aggirò per raccogliere le scarpe vicino all’uscio scorrevole. «Sei bellissima, e ne sei consapevole. Gli uomini ti hanno spesso elevato a loro musa» ammiccò. «Col tuo corpo e la tua intelligenza puoi ottenere qualsiasi cosa, ne sono certo. Nessuno ti direbbe di no.»
Pélagie lo raggiunse con un balzo da gatta e i suoi occhi celesti si spalancarono come a volerlo inghiottire. «Una persona c’è.» Gli serrò le mani nelle sue, imprigionandolo in una stretta vellutata. Se fosse esistito un incantesimo capace di fonderli per sempre in
quella scomoda posizione, probabilmente avrebbe pronunciato lei stessa le parole magiche.
«La Scuola d’Arte è infestata dai tuoi spasimanti, tutti piuttosto facoltosi, tanto da non scontentare i tuoi genitori.»
«Ma nessuno abbastanza bohémien da piacere a me.»
«Conosco i tuoi gusti, Pélagie. Per attirare la tua attenzione basta resisterti, e il mondo è pieno di uomini sufficientemente caparbi.»
Lei si allungò fino a lambirgli il mento con le labbra polpose. «Non farò la statuina per sempre. Intendo laurearmi in Lettere, diventare un’attrice, girare il mondo. Odio Parigi» ansimò sulla sua pelle. «È romantica anche con la pioggia, anche di lunedì. Qui l’amore è ovunque ma di me se ne infischia. Voglio scoprire se esiste altrove, fuori da questo appartamento naïf. E voglio te accanto.»
Il ragazzo la strattonò verso di sé, scatenando in lei un’ondata d’ardore. «Mi vuoi perché non faccio parte della tua collezione, corretto?»
«Forse» ridacchiò, disinibita.
«E perché non sono ammaliato da te.»
«Non ancora.»
«Non potrò mai esserlo.»
«Se soltanto me ne dessi l’opportunità…»
Il giovane bloccò sul nascere una carezza provocatoria delle sue mani affusolate. «Sono innamorato di un’altra donna, Pélagie. E lo sarò in eterno.»
La modella si scostò da lui con violenza. «Cosa manca a me che viceversa la tua damina possiede, eh?» Con uno scatto d’impeto scagliò il mozzicone sul pavimento e lo spense col tallone, furiosa. «La ami sul serio?»
«Sul serio.»
Un brontolio isterico le massaggiò le gengive. «Sei uno stupido. Perché perseveri nell’amare un’idea?»
«Dicono che l’amore trascenda lo spazio, il tempo e addirittura la realtà. È lui a scegliere noi, non il contrario.»
«Ma per quale maledetta ragione proprio lei?»
«Non lo so. Forse per nessuna, e per tutte quelle che l’universo può contenere. Oppure per lo stesso motivo per cui respiro» ammise, disarmato. «Posso trattenermi dal non farlo, ma dopo poco il mio organismo comincia ad avere bisogno d’ossigeno. Nonostante combatta e tenga duro ogni volta un secondo di più, alla fine non posso fare a meno di riempirmi i polmoni. È naturale. Allo stesso modo mi viene naturale amarla e quando provo a lasciarla andare, la mia anima soffoca.»
«Tu sogni, amico mio. Parli come se un giorno potessi incontrarla al mercato, nemmeno fosse una donna qualunque. Come se potessi incrociarla per caso tra la folla durante una delle tue passeggiate notturne.»
«Lei è da qualche parte…»
«È al Louvre!» La modella divampò alla stessa maniera del suo ritratto. Poi si spense piano mentre la gola riassorbiva l’urto della voce tagliente. «E per quanto tu possa aver perso la testa per lei, non ti ricambierà mai. Non può. Fattene una ragione.»
«Non ci riesco.» Il ragazzo lanciò lo sguardo oltre il lucernario alla ricerca di un segno rintanato nell’azzurro, ma il cielo era pulito e senza auspici. Non trovò nulla di più in quel colore che gli interni della mansarda o le iridi di Pélagie gli avessero già svelato.
«Ti ricordi la prima volta che mi hai baciata?»
«L’unica volta.»
Lei sorrise controvoglia. «Giusto» riconobbe, poi socchiuse le palpebre per inabissarsi nel passato. «È successo proprio dove sei ora. Un piccione si era appollaiato sul vetro della finestra e ti toglieva la luce. Hai provato in tutti i modi a scacciarlo, ma per quanto rumore facessi non c’era verso di fargli prendere il volo. Tenevo una scala in casa, da qualche parte in una delle camere di servizio. Ti dissi che ti avrei confidato dov’era in cambio di un bacio. E non ti sei fatto pregare.»
Pélagie rammentava ogni dettaglio, quasi fosse accaduto ieri: le labbra di lui al gusto del tè al biancospino che gli aveva offerto; le braccia forti a cui si era aggrappata; i suoi riccioli impregnati del profumo della grafite; il suo cuore calmo, che non aveva emesso neppure un sussulto quando le loro bocche si erano unite. Quello di Pélagie, invece, si era spinto in un valzer egoista. Non batteva per lui. Non l’amava, ma lo voleva comunque. Come una bambina contornata da giocattoli nuovi, invidiosa della bambola di pezza di un’altra.
«Non avrei sprecato un singolo raggio di quel pomeriggio.» Lui la guardò tanto intensamente che a lei parve volesse contare tutte le lentiggini sparpagliate sul suo volto. «Alla fine il sole è tramontato tra i tuoi capelli, e si è vestito d’argento oltre che d’oro.»
«Lo ricordi davvero?»
«Sì.»
«E cosa hai provato?» Il tono della giovane si abbassò fin quasi a un bisbiglio. «Quando la mia lingua si è sottomessa alla tua, cosa hai provato?»
Lui esitò. La osservò di nuovo in tutta la sua fredda sensualità, poi si lasciò andare. «Niente» ribatté, sincero.
«Niente? Pure io, credo.»
«Mi prendi in giro?»
Pélagie scosse la testa, infantile.
«E allora perché insisti?»
«Perché voglio salvarti» replicò, con la stessa franchezza che lui non le aveva risparmiato. «Quelli come te rimangono soli. Non sopporto di vederti così… sprecato. Quanto amore sprecato.»
Lui la raggiunse a fianco dello stipite della porta. Indossò le scarpe e le riassettò il caftano che pendeva languidamente dalla spalla d’alabastro. «L’amore non è mai sprecato.»
[…]
«E alla fine ne sarà valsa la pena?»
Il giovane sollevò e abbassò le spalle. «Bisogna rischiare un po’, non credi? La società ci impone un progetto alternativo, come se i sogni fossero negoziabili. No, io non mi adeguerò. Non ho un piano B, non lo voglio nemmeno. Non esistono alternative a lei. Così come non dovrebbero essercene per te nei confronti del percorso che senti di dover seguire.»
Pélagie issò bandiera bianca, anche se la tenne ben occultata dentro il suo cuore orgoglioso. Avrebbe voluto essere coraggiosa come lui, scappare dalle scelte prive di sacrifici, non omologarsi. Cercò sollievo nel suo stesso abbraccio, ma si accorse che era troppo ossuto per farla sentire al sicuro. «Esci dalla mia casa. Adesso. La nostra ultima lezione è terminata. Non voglio rivederti mai più.»
Il ragazzo valutò in silenzio quella sentenza. «Come preferisci.» Ripose gli strumenti da disegno nelle tasche dei pantaloni e inforcò lo stretto corridoio che conduceva all’uscita.
«Non mi concedi nemmeno la soddisfazione di guardarti andare via imbronciato?» sbottò, pestando i piedi.
La risposta le arrivò dal buio del disimpegno. «Ho perso la miglior modella di Parigi. Sono dispiaciuto, non arrabbiato.»
«Io ci ho rimesso molto più di te. Starti accanto mi dà conforto, quanto sapere di avere in borsetta un libro di poesie ancora da sfogliare.» Il giovane avvertì due dita timide tenerlo da dietro, per la camicia. «Fa’ l’amore con me.»
«No, Pélagie.»
«Perché?»
«Lo sai perché.»
«No, non lo so. Non capisco.»
«Perché siamo amici.»
«Per niente.»
«No?»
«No.»
«E cosa siamo, allora?»
«Due persone giuste l’una per l’altra che si sono incontrate nel momento sbagliato.»
«Pélagie…»
«Fa’ l’amore con me» insisté.
«Smettila.»
«È tanto difficile voltarti, baciarmi, portarmi in braccio dove ti
aggrada e farmi tua come più desideri?»
«Sì. Per troppi motivi.»
«Dimmene uno.»
«Non voglio rovinare…»
«Non c’è niente tra noi» tagliò corto lei, «cosa si potrebbe mai rovinare?» Poi sbuffò. «Lascia stare. Nessuno mi amerà così disperatamente come tu ami quel quadro. E io non sarò mai felice.»
«Lo sarai.»
«Come fai a esserne sicuro?»
«Perché altrimenti la vita non avrebbe senso. Hai appena vent’anni, Pélagie. Puoi essere ciò che vuoi.» Resistette alla tentazione di girarsi per rassicurarla. Illuderla che sarebbe rimasto con lei era l’ultimo dei suoi propositi. «Ciò che desideri davvero è là fuori. Vuoi essere felice? Scopri il motivo per cui ti svegli al mattino. Quello su cui rimugini prima di addormentarti la sera. Poi inseguilo, a ogni costo. E smettila di avere paura.»
Il tono dolce dell’artista autodidatta fece nascere due lucciconi dai suoi occhi, limpidi come pietre d’acquamarina. Lo superò e gli aprì la porta, nascondendo il viso dietro l’anta. «Adesso vai Guillaume, prima che mi umili gettandomi ai tuoi piedi. Vattene!»
Pélagie si richiuse dentro in gran fretta. Attaccò l’orecchio vicino alla maniglia e smise di respirare per carpire meglio i rumori del pianerottolo. Dopo un istante di nulla, lo sentì scendere le scale. Se n’era andato.
Insieme a quel ragazzo, anche i suoi capricci avevano preso il largo. Si scrollò di dosso la maschera da lolita e rivoltò la mansarda alla ricerca di un particolare ritratto che sapeva di aver conservato. Buttò all’aria i plichi di disegni di cui era la protagonista – doni delle matricole di Belle Arti – finché non se lo ritrovò di fronte. Diversamente dagli altri, gettati alla rinfusa, quello era ben protetto in una busta di plastica trasparente. Ne carezzò il bordo e col palmo rasentò i tratti alla stregua di una chiaroveggente.
«Il sole è tramontato tra i miei capelli, e si è vestito d’argento oltre che d’oro» farfugliò tra le lacrime.
Pélagie lasciò tutto in disordine e si sdraiò sul divano angolare nella saletta. I cuscini la riaccolsero di buon grado e si prepararono insieme a lei per un’altra, lunga attesa. Questa volta, però, di un tipo diverso. Si addormentò col ritratto del suo artista stretto tra le mani, mentre il pomeriggio in Rue Bonaparte volgeva al rosso che precede il crepuscolo. A un certo punto, nella quiete scandita dal ticchettio di un pendolo d’epoca, un sorriso le germogliò sulle labbra salate.
Forse sognò il suo futuro.

– da Ritratto di dama (CartaCanta Editore, 2017)