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Intervista su Letture.org: “I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta”

11 sabato Gen 2020

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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Tag

book, books, i processi a luigi XVI e maria antonietta, intervista, lettura, libri, Maria Antonietta, monarchia, rivoluzione francese, saggistica, storia

Appassionati di storia, monarchia, complotti e Rivoluzione francese? Su Letture.org è stata pubblicata la mia intervista sul saggio “I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta – Dal trono al patibolo” edito da Genesis Publishing. Di seguito trovate una breve anteprima. Buona lettura ✨ 


Dott.ssa Giorgia Penzo, Lei è autrice del libro I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta. Dal trono al patibolo edito da Genesis Publishing: cosa hanno significato, dal punto di vista storico, i processi a Luigi XVI e Maria Antonietta?
Di Luigi XVI e del suo processo se ne parlò subito, a meno di un anno dalla sua esecuzione, come colui che era stato «vittima dello spirito di partito e del fanatismo», «immolato per mano dei suoi sudditi ribelli congiurati per lo sterminio della sua persona, non meno della sua famiglia». La Restaurazione considerò regicidi coloro che votarono la morte del re. Parecchi votanti si scusarono dichiarandosi colpevoli del più grande di tutti i delitti e responsabili del voto abominevole che li avrebbe tormentati fino alla morte. Altri confessarono di aver parteggiato per la morte di Luigi XVI perché sedotti, trascinati, minacciati e obbligati. Ma la Restaurazione restò sorda alle suppliche e la maggior parte di loro venne bandita dal regno. Alcuni vi rientrarono soltanto nel 1830 dopo il crollo della Restaurazione, ormai vecchi e indeboliti dalle vicissitudini di una grande era, decisi più che mai a farsi dimenticare. Il mandato politico della Rivoluzione avrebbe potuto concludersi con la morte di Luigi XVI, il sommo vertice del potere. Alla scomparsa del consorte, Maria Antonietta – regina decaduta, donna, straniera, madre di un delfino senza più un regno – era ormai politicamente insignificante: la sua unica utilità risiedeva nell’essere una merce di scambio, un mero ostaggio nelle mani della Convenzione, che ben presto abbandonò l’idea di servirsene come tale.
La sua morte non avrebbe portato, a differenza di quella del sovrano, a un cambiamento di ordine politico e sociale. Ma come il re, e forse più di lui, costituiva un simbolo: e se l’uno era stato cancellato con la morte, l’altro non avrebbe mai potuto aspirare alla grazia dell’esilio.
Dopo l’esecuzione di Maria Antonietta il dubbio e la paura del diffondersi di un nuovo sentimento monarchico non fecero che portare i partiti all’autodistruzione con l’inaugurazione del periodo del Terrore, che ebbe tra le sue vittime alcuni dei suoi stessi sostenitori tra cui Maximilien de Robespierre.
Durante la Restaurazione, anche per Maria Antonietta si aprì un periodo di mitizzazione della sua figura. Lo stesso Napoleone I decise di prendere in sposa la futura duchessa regnante di Parma, Piacenza e Guastalla Maria Luigia d’Austria – figlia dell’imperatore Francesco II e pronipote di Maria Antonietta – allo scopo di suggellare la pace tra Francia e Austria e omaggiare la monarchia che segnò la fine dell’ancien régime.

Quali falsità sulle figure di Luigi XVI e Maria Antonietta si sono tramandate?
Se Luigi XVI doveva essere riconosciuto colpevole soprattutto dalle alte sfere della nuova realtà repubblicana, Maria Antonietta doveva esserlo anche per il più umile cittadino. Se la morte del re doveva servire per convincere la nazione che la Rivoluzione era giusta e per permettere a essa di risorgere come libera, uguale e definitivamente affrancata dalla monarchia, la morte della regina doveva servire al popolo come riscatto per tutti i soprusi patiti.
Durante il processo, a Luigi XVI furono contestati fatti la cui responsabilità venne ingiustamente fatta risalire alla sua persona, tra cui le repressioni militari eseguite da Bouillé o quella civile del Campo di Marte, i primi insuccessi dell’esercito francese e la resa di Verdun. L’interrogatorio, condotto da Bertrand Barère, s’installò su accuse alcune delle quali risultarono illegali in quanto si riferivano a fatti – eventualmente – avvenuti prima dell’accettazione della Costituzione e della grande amnistia politica promulgata in quella occasione.
Le falsità tramandate su Maria Antonietta durante il suo processo furono, però, ancora più eclatanti. Tra le tante spiccano l’essersi macchiata di incesto con il figlio e la partecipazione all’orgia del 1° ottobre 1789 in occasione del banchetto delle guardie del corpo della famiglia reale, voci avvalorate dai libelli scandalistici e dalle deposizioni dei nemici della regina. Soprannominata l’“Austriaca”, per tutti coloro che non la sostenevano era la spia inviata dagli Asburgo allo scopo di nuocere alla Francia e la sobillatrice del re che la stessa Nazione aveva messo a morte. Le incriminazioni, soprattutto quella totalmente infondata d’incesto col figlio Luigi Carlo, avevano lo scopo di smuovere anche l’opinione pubblica più semplice e analfabeta che era stata toccata dal politico processo al re soltanto per via indiretta.

Che tipo di potere era quello incarnato dal re di Francia?
L’ufficio dei re si fondava su un diritto divino e le loro persone dovevano essere considerate sacre: un simile diritto e una tale sacralità, però, non apparteneva loro in quanto uomini ma solo in quanto re, e sarebbero venuti entrambi meno in caso di perdita del titolo. I sovrani, per provvedere agli scopi del governo, vennero pertanto elevati al di sopra degli altri uomini i quali avevano l’obbligo di riverirli. Al vertice della gerarchia temporale e al di sopra dei signori stava quindi il Re di Francia, incarnazione ereditaria dell’antica monarchia: un re assoluto, i cui diritti procedevano soltanto da Dio; “padre” di tutti i suoi sudditi; proprietario eminente del regno intero e proprietario diretto di vastissimi possedimenti fondiari; detentore infine di tutti i poteri che oggi siamo abituati a distinguere, ossia l’esecutivo, il legislativo e il giudiziario.

➺ CONTINUA SU LETTURE.ORG

I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta_seconda edizione

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❝Il passato non è un pacchetto che si può mettere da parte❞ [E. Dickinson] – Le vere origini della Befana

05 giovedì Gen 2017

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

≈ 25 commenti

Tag

antica roma, arte, befana, dea, diana, epifania, mitologia, origini, passato, tradizioni

La figura della Befana e la festività dell’Epifania hanno origine nei riti propiziatori della fertilità che presero forma fra le popolazioni italiche nel X-VI secolo a.C.
Anticamente, infatti, Ephiphaneia (che in greco significa “manifestazione”) era la rivelazione della vegetazione – della Dea Natura – che spuntava nei campi con l’anno nuovo.

Nell’Antica Roma, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio (la dodicesima dopo la celebrazione del Sol Invictus il quale ricorreva il 25 dicembre, data in cui in seguito venne stabilito il Natale cristiano), la tradizione voleva che Diana – dea lunare della caccia e della vegetazione – volasse sopra le campagne col suo corteo di ninfe benedicendo la semina per il buon raccolto. La prima settimana di gennaio, infatti, era un periodo molto critico per l’agricoltura in cui non poteva gelare o grandinare, pena la morte dei semi.

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Statua di Diana/Artemide con un capriolo, copia romana di originale ellenistico (Parigi, Museo del Louvre)

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Guillaume Seignac, Diana cacciatrice. Olio su tela (collezione privata)

La Chiesa la considerò malefica, trasmutando la sua figura in quella di una strega, ma poiché il culto persisteva ne accettò una modifica: Diana diventò vecchia e brutta ma benefica, mescolandosi con la dea Strenia che nel solstizio d’inverno portava doni ai bambini romani; la strenna, il regalo che è d’uso fare o ricevere periodo natalizio, deriva proprio dallo scambio di doni augurali durante i Saturnalia, il ciclo di festività romane che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre in onore del dio Saturno.
Via via questo accomodamento si trasformò in un mito, poi nella favola che oggi fa parte del nostro folklore.

Poiché nelle campagne sopravvisse a lungo la religione pagana, soprattutto nelle dee legate alla fertilità dei campi, la Chiesa si ingegnò a creare Santi che sostituissero questo compito, inventando la benedizione dei campi, degli animali, degli attrezzi da lavoro, del raccolto e così via; ma nelle campagne per oltre un millennio – e addirittura quasi per 1500 anni in alcune zone – restò in auge la dea Diana, riedizione della dea Dia (protettrice della fecondità della terra e ancora più antica) da cui proviene il termine Dio. Sostituire Dia o Diana con un termine maschile complementare sembrò più facile, e in effetti funzionò.

origini_befana_2

Stele rappresentante prefetto del pretorio che compie un sacrificio a Dia (Colonia)

Nella Befana rivivono simbolicamente culti pagani, antiche consuetudini, tradizioni magiche, credenze religiose che si intrecciano, si sovrappongono e si modificano tra loro. Tutte fanno parte della nostra cultura, nessuna deve essere dimenticata o esclusa; ciascuna di essa è meritevole di rispetto, indipendentemente dalla fede personale.
La Festa della Dodicesima Notte ispirò – tra gli altri – William Shakespeare che scrisse l’opera omonima tra il 1599 e il 1601.

Nascondi ciò che sono e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni. – Viola: atto I, scena II

La Dodicesima Notte ebbe la prima rappresentazione – almeno secondo quanto ipotizzato da Giorgio Melchiori nel saggio Shakespeare. Genesi e struttura delle opere – proprio il 6 Gennaio del 1601 al Globe Theatre di Londra ed è considerata una delle migliori commedie pure del drammaturgo inglese.
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Fonte: Romano Impero

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Happy Birthday Your Majesty: 90 (anni) e gli altri numeri di Elisabetta II

21 giovedì Apr 2016

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

≈ 19 commenti

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90 anni, elisabetta II, inghilterra, queen, regina

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Novant’anni fa a Londra, al n° 17 di Bruton Street a Mayfair, nasceva con taglio cesareo Elizabeth Alexandra Mary, primogenita dei duchi di York e futura Elisabetta II. Da quel giorno è passato quasi un secolo.
Nessuno è scevro di difetti, compresa Sua Maestà. Su di lei se ne sono dette tante: che in gioventù sia stata una madre lontana e inaccessibile, che soffra da sempre di eccessiva avarizia e che in alcune occasioni si sia dimostrata addirittura senza cuore o troppo fredda.

Ma quanta classe, stile e altrettanta disciplina ci sono in questa donna che ha dedicato la vita al popolo e alla monarchia. «Io dichiaro davanti a voi tutti che tutta la mia vita, sia essa lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia imperiale a cui tutti apparteniamo» recitava alla radio da Cape Town in occasione del suo ventunesimo compleanno durante la sua prima visita ufficiale d’oltremare.
Oggi Elisabetta II segna un traguardo importante, 90 anni di vita. Un’età che per i comuni mortali fortunati significa per di più andare alla bocciofila o fare una sessione di calzina a maglia con le amiche sopravvissute. Macché. Lei ancora lavora, si appunta le revisioni sui testi dei discorsi, guida la macchina, partecipa alle occasioni istituzionali e non si lascia scappare nessun aggiornamento da Downing Street.
Per l’occasione Buckingham Palace ha rilasciato diverse foto ufficiali che la ritraggono con i suoi affetti più cari: la famiglia e gli adorati cani.

Mia Tindall (la bambina che tiene in mano la borsa della Regina), è la figia di due anni di Zara e Mike Tindall;  James, Viscount Severn (8 anni) e Lady Louise (12 anni), figli del Conte e la Contessa di Wessex, e i più giovani degli otto nipoti della Regina;  Savannah (5 anni) e Isla Phillips (3 anni), figlie del più anziano dei nipoti della Regina Peter Phillips e di sua moglie Autumn; Principe George (2 anni) e, tra le braccia della Regina come vuole la tradizione dei ritratti reali, la più giovane dei bisnipoti, la Principessa Charlotte (11 mesi), figlia del Duca e la Duchessa di Cambridge.

Mia Tindall (la bambina che tiene in mano la borsa della Regina), la figlia di due anni di Zara e Mike Tindall;
James, Visconte Severn (8 anni) e Lady Louise (12 anni), figli del Conte e la Contessa di Wessex, i più giovani degli otto nipoti della Regina;
Savannah (5 anni) e Isla Phillips (3 anni), figlie del più anziano dei nipoti della Regina Peter Phillips e di sua moglie Autumn; Principe George (2 anni) e, tra le braccia della Regina come vuole la tradizione dei ritratti reali, la più giovane dei bisnipoti, la Principessa Charlotte (11 mesi), figlia del Duca e la Duchessa di Cambridge.

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La Regina posa nei toni dell’azzurro, uno dei suoi colori preferiti, col figlio, il nipote e il bisnipote. Tre generazioni di eredi al trono.

La Regina e i suoi quatto cani al castello di Windsor.

La Regina e i suoi quatto cani al castello di Windsor.

Ma quali sono gli altri numeri della Regina? Eccone alcuni:

  • 64: gli anni (+74 giorni) di regno. Quello di Elisabetta II è diventato il più longevo di tutta la storia del Regno Unito, battendo quello della sua trisavola Vittoria (63 anni e 216 giorni).
  • 125: milioni di persone nel mondo che sono suoi sudditi.
  • 12: i Primi Ministri che ha incontrato durante il suo regno (così come i presidenti degli Stati Uniti che si sono succeduti).
  • 44: il posto che detiene il regno di Elisabetta II nella classifica dei regni più lunghi della Storia.
  • 68: gli anni di matrimonio con il Principe Filippo di Edimburgo. Si tratta dell’unione matrimoniale più lunga nel mondo delle teste coronate.
  • 4: i figli avuti dal consorte (Carlo, Anna, Andrea ed Edoardo).
  • 7: gli arcivescovi di Canterbury che si sono succeduti alla guida della Chiesa anglicana da quando Elisabetta è sul trono.
  • 117: il numero dei Paesi visitati dalla sovrana.
  • 626: il numero delle associazioni caritatevoli e di beneficenza o di reggimenti militari di cui la Regina è madrina.
  • 16: i paesi di cui è Regina oltre al Regno Unito (Antigua, Barbuda, Australia, Bahamas, Barbados, Belize, Canada, Grenada, Giamaica, Nuova Zelanda, Papua Nuova Guinea, Saint Kitts e Nevis, Saint Vincent e Grenadine, Isole Salomone, Santa Lucia e Tuvalu).
  • 4: i suoi cani. Sono due corgi, Holly e Willow, e due dorgi, Candy e Vulcan.
  • 30: i cavalli che ha avuto nella sua vita.
  • 340: milioni di sterline che avrebbe se vendesse tutte le sue proprietà mobili e immobili.
  • 7: i papi che si sono succeduti durante il suo regno. Nel 1982 Papa Giovanni Paolo II visitò la Gran Bretagna. Fu il primo Papa a farlo in 450 anni.
  • 18: età in cui divenne autista di camion nel Women’s Auxiliary Territorial Service con il nome di Second Subaltern Elizabeth Windsor.
  • 27: età in cui fu incoronata. Dichiarò: «Appartengo al mio popolo, ma non come intendeva Elisabetta I. Non ho scelto io di essere regina, so ciò che si attendono da me, manterrò i miei impegni».
  • 76: percentuale del popolo britannico che attualmente supporta la monarchia.
  • 10: età in cui è diventata ufficialmente erede al trono.
  • 5: i centimetri di tacco massimo delle scarpe della Regina.
  • 150: le borsette che possiede.
  • 500: i capelli del suo guardaroba.
  • 2: le volte all’anno in cui cambia il suo guardaroba.
  • 25: età in cui diventò regina. Si trovava in Kenia con il marito quando le fu comunicato che suo padre Giorgio VI era deceduto.
  • 23: le navi che ha varato.
  • 129: i ritratti ufficiali realizzati durante il suo regno, due con il Principe Filippo di Edimburgo. Il primo risale al 1933, quando aveva 7 anni, commissionato dalla madre al pittore ungherese Philip Alexius de Laszlo.
  • 50: mila le persone ospitate in un anno ai banchetti, pranzi, cene, ricevimenti e feste in giardino a Buckingham Palace.

Elisabetta II è il Signore di Man, il Capo del Commonwealth e il Capo Supremo della Chiesa d’Inghilterra. Nel frattempo è anche una moglie, una madre, una nonna e una bisnonna paziente con uno stuolo di nipoti dal sangue più o meno blu che la adorano. Ma soprattutto è la Regina, The Queen per antonomasia. La sua figura fa parte dell’arte, della musica, del cinema. Della storia.
Nel suo salotto privato al castello di Balmoral, in Scozia, ha un cuscino su cui è ricamata la frase: “Essere regina è bello“. Chissà se lo tiene lì per assoluta convinzione o per darsi un po’ di coraggio nei momenti di sconforto.

Ad ogni modo: Dio salvi la Regina, lunga vita alla Regina. ♔

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C’è un paio di scarpette rosse a Buchenwald, quasi nuove, perchè i piedini dei bambini morti non consumano suole

27 mercoledì Gen 2016

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

≈ 42 commenti

Tag

bambini, blog, film, giorno della memoria, libri, Pensieri, ricordo, riflessioni, shoah

C’è un paio di scarpette rosse
numero ventiquattro
quasi nuove:
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
Schulze Monaco
c’è un paio di scarpette rosse
in cima a un mucchio di scarpette infantili
a Buchenwald

più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
di ciocche nere e castane
a Buchenwald
servivano a far coperte per i soldati
non si sprecava nulla
e i bimbi li spogliavano e li radevano
prima di spingerli nelle camere a gas
c’è un paio di scarpette rosse
di scarpette rosse per la domenica
a Buchenwald
erano di un bimbo di tre anni
forse di tre anni e mezzo
chi sa di che colore erano gli occhi
bruciati nei forni
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
si sa come piangono i bambini

anche i suoi piedini
li possiamo immaginare
scarpa numero ventiquattro
per l’eternità
perché i piedini dei bambini morti non crescono
c’è un paio di scarpette rosse
a Buchenwald
quasi nuove
perché i piedini dei bambini morti
non consumano le suole.

– Joyce Lussu, 1944

Sono tantissime le letture che raccontano la Shoah: biografie, saggi, storie di fantasia, memorie di un vissuto ancora nitido per chi è sopravvissuto e che non potrà mai essere dimenticato.
Di seguito trovate qualcosa di molto simile a un piccolo consiglio, una selezione di cinque libri approdati anche al cinema/televisione che io personalmente ho apprezzato molto:

  • La chiave di Sara ➺ romanzo | film
  • Il pianista ➺ romanzo | film
  • Il bambino con il pigiama a righe ➺ romanzo | film
  • A voce alta – The reader ➺ romanzo | film
  • L’aritmetica del diavolo ➺ romanzo | film

Non c’è altro da aggiungere, se non una cosa, un dovere di tutti: ricordare.

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❝ Sembrerò morto, e non sarà vero ❞ [Antoine de Saint-Exupéry]

31 venerdì Lug 2015

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

≈ 26 commenti

Tag

il piccolo principe, letteratura, libri, Saint-Exupéry, seconda guerra mondiale, storia

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Français | English | Español | Deutsch

“Il Piccolo Principe” è il libro più tradotto al mondo.
Nel 1943 furono gli statunitensi i primi a pubblicarlo e a dare il via al suo straordinario successo. Tradotto in 250 lingue e stampato in oltre 134 milioni di copie in tutto il mondo, costituisce una sorta di educazione sentimentale ed è illustrata da una decina di acquerelli dell’autore stesso – Antoine de Saint-Exupéry – con disegni semplici e un po’ naïf.

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Ma Saint-Exupéry non era soltanto uno scrittore. Era un aviatore – come la voce narrante del suo libro più famoso – e un visionario, amante della vita e continuamente con la testa tra le nuvole, in tutti i suoi significati possibili.

Come capitano di complemento si arruolò nell’Armée de l’air durante la Seconda Guerra Mondiale, chiedendo il comando di una squadriglia di caccia. A causa della sua età (aveva 39 anni) e delle sue condizioni fisiche, la domanda non venne accolta e fu destinato a una squadriglia di ricognizione aerea.

Il 31 luglio del 1944, alle 8.25 di un caldo mattino estivo, Antoine de Saint-Exupéry decollò con un aereo F-5 da ricognizione dalla base militare di Borgo per una missione cartografica destinata a stabilire precise mappe in vista dello sbarco degli Alleati in Provenza. Si trattava dell’ultima di una serie di cinque missioni fra la Sardegna e la Corsica. Non fece mai ritorno.
Era diretto verso Lione e sorvolava il Tirreno quando venne abbattuto da un pilota tedesco della Luftwaffe. Il suo aereo precipitò in prossimità dell’Île de Riou e per anni non si seppe nulla sulle circostanze della sua fine.

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Sembra anche che prima del decollo, Antoine avesse confessato ad un amico: “Vorrei sparire come il mio Piccolo Principe”. Un presagio, forse. Si sentiva vecchio, anche se aveva appena compiuto 44 anni. Questo alimentò le voci di un suicidio oltre che di un guasto tecnico ma poi la verità, piano piano, venne a galla.

I primi pezzi del velivolo – modificato per le riprese aeree e disarmato – vennero trovati nel 2000 da un sub professionista, Luc Vanrell, che si era immerso nello stesso tratto di mare in cui, due anni prima, era rimasto impigliato nelle reti di un peschereccio un braccialetto di metallo con incise le parole “Saint-Ex“, quello della sua compagna argentina “Consuelo“, e la scritta “Reynal and Hitchcock. Inc. – 386 4th Ave. N.Y. City USA“, il nome e l’indirizzo dell’editore americano de “Il Piccolo Principe”.
Jean-Claude Bianco, colui che ripescò il monile, avrebbe poi ributtato in mare un pezzo di stoffa trovato insieme al bracciale: probabilmente si trattava di un brandello della tenuta di volo del pilota. Era in seta naturale e potrebbe perciò conservarsi sott’acqua per secoli.

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La scoperta di un motore tedesco vicino al relitto Lightning P-38 di Saint-Exupéry – identificato nel 2004 grazie al numero di serie impresso su alcune parti del velivolo ripescate dal fondale – deviò le ricerche in Germania.
Nel 2008 l’ottantotenne Horst Rippert, ex asso dell’aviazione nazista d’istanza proprio in Provenza, svelò il segreto che aveva tenuto nascosto per 64 anni: confessò di aver abbattuto col suo Messerschmitt Bf 109, proprio nella notte del 31 luglio 1944, un F-5.

Horst Rippert in una foto del 1944.

Horst Rippert in una foto dell’epoca.

Raccontò in un’intervista al quotidiano francese La Provence:
“Dopo averlo inseguito dissi fra me e me: amico mio, se non sparisci ti distruggo. Sono sceso in picchiata verso di lui e ho sparato, non sulla fusoliera, ma sulle ali. L’ho colpito ed è finito diritto nell’acqua. Si è schiantato in mare. Nessuno è saltato, il pilota non l’ho visto. Soltanto dopo ho saputo che si trattava di Saint-Exupery. Ho sperato che non fosse lui, ho continuato a sperarlo. Nella nostra giovinezza l’avevamo letto tutti, adoravamo i suoi libri. Sapeva descrivere il cielo in modo fantastico, i pensieri e i sentimenti dei piloti. La sua opera ha ispirato tanti di noi, era un personaggio che amavo molto. Se avessi saputo, non avrei sparato. Non su di lui“.

Le opere di Saint Exupery, infatti – specie “Terra degli Uomini” e “Volo di notte” – furono fonte d’ispirazione per una intera generazione di piloti, Rippert incluso.

La Francia lo ricorda e lo commemora. Gli è stato intitolato l’aeroporto di Lione e su un pilastro del Panthéon a Parigi, nel tempio della razionalità, c’è una targa che ricorda l’arte e la triste sorte del poeta francese.

Targa commemorativa al Pantheon: "In memoria di Antoine de Saint Exupéry,  poeta, romanziere e aviatore  scomparso nel corso di una missione  di ricognizione aerea  il 31 luglio 1944".

Targa commemorativa al Pantheon: “In memoria di Antoine de Saint Exupéry, poeta, romanziere e aviatore scomparso nel corso di una missione di ricognizione aerea il 31 luglio 1944”.

Il mistero che avvolge Antoine de Saint-Exupéry perdura ancora oggi. Le sue spoglie non furono mai ritrovate e la sua leggenda continua ad affascinare generazione dopo generazione.
Colui che è nato nel cielo e che ora riposa nel mare, colui che non ha tomba, il padre di uno dei personaggi letterari ormai immortali, continua a vivere tra le pagine delle sue opere, negli occhi di chi lo legge e nei cuori di chi sa apprezzarlo.

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“Addio”, disse la volpe. “Ecco il mio segreto. E’ molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi. […] E’ il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante”.
(da “Il Piccolo Principe”)

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❝ Noi non combattiamo per quelli che vivono oggi, ma per coloro che verranno ❞ [Maximilien de Robespierre]

28 martedì Lug 2015

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

≈ 9 commenti

Tag

francia, parigi, passato, rivoluzione francese, robespierre, storia

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Oggi, nel 1794, Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre – l’Incorruttibile – veniva ghigliottinato a Parigi in Place de la Revolution.
Il karma, verrebbe da pensare. Ma andiamo per ordine.

Devoto alla causa rivoluzionaria della Repubblica francese fino al sacrificio della vita stessa, Robespierre fu uno dei massimi esponenti del Terrore: una fase storica caratterizzata dal predominio politico dei membri del Comitato di Salute Pubblica che mirava a schiacciare tutti gli oppositori interni della Rivoluzione e combattere con maggiore efficacia la guerra esterna contro le monarchie europee dell’Ancien Régime.

Ritratto di Robespierre, Museo Carnevalet.

Ritratto di Robespierre, Museo Carnevalet.

Un'illustrazione della sala delle Tuileries dove si riuniva il Comitato di Salute Pubblica.

Un’illustrazione della sala delle Tuileries dove si riuniva il Comitato di Salute Pubblica.

I metodi di repressione dell’epoca erano rapidi e inflessibili: tra il 6 aprile 1793 ed il 30 luglio 1794 vennero eseguite, nella sola Parigi, 2663 condanne a morte.

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Una carretta di condannati al patibolo durante il Terrore.

Ad un certo punto, le misure eccezionali emanate durante il Terrore iniziarono a sembrare eccessive e i loro responsabili a essere malvisti dall’opinione pubblica. I nemici di Robespierre misero in giro la voce che volesse distruggere tutto quello per cui si era battuto: ovvero restaurare la monarchia costituzionale istituita nel 1791 – ponendo sul trono il delfino Luigi Carlo, di nove anni, prigioniero alla Tour du Temple dopo l’esecuzione del re e della madre Maria Antonietta – e nominare sé stesso reggente del regno.

Quando Robespierre esitò nel replicare a questi attacchi davanti alla Convenzione, seguì una rissa furibonda. Invano tentò di riprendere la parola, e prima di essere arrestato insieme ai suoi ultimi sostenitori reagì con un’esclamazione rassegnata: “La Repubblica è perduta, i briganti trionfano“.

Jean-Lambert Tallien brandisce il pugnale contro Robespierre durante la seduta della Convenzione del 9 Termidoro.

Jean-Lambert Tallien brandisce il pugnale contro Robespierre durante la seduta della Convenzione del 9 Termidoro.

Nella mattina del 28 luglio 1794, alle 10.30 circa, le Guardie Nazionali fedeli alla Convenzione si impadronirono dell’Hôtel de Ville e arrestarono numerosi dirigenti giacobini fedeli a Robespierre, il quale venne ferito da un colpo di pistola che gli fracassò la mascella. Fu un tentativo di suicidio? Fu veramente il gendarme Charles-André Merda a far fuoco? Alcuni storici sono ancora incerti su quello che successe davvero.
Sta di fatto che tutti i rivoluzionari catturati, pressapoco una ventina, vennero condotti alla prigione della Conciergerie per un formale atto di riconoscimento. La cella in cui venne rinchiuso Robespierre – volere della sorte – era vicina a quella che nove mesi prima aveva ospitato Maria Antonietta, la regina decaduta che egli aveva voluto fortemente portare di fronte al Tribunale Rivoluzionario per rispondere dei crimini contro lo Stato.

I prigionieri vennero quindi inviati, senza processo, dopo circa quattordici ore dalla cattura, alla ghigliottina in Place de la Revolution, tra la folla esultante per la fine del “tiranno”.

L'arresto di Robespierre.

L’arresto di Robespierre.

Valery Jacobi - Robespierre ferito e gli altri arrestati, detenuti in attesa dell'esecuzione sulla ghigliottina.

Valery Jacobi – Robespierre ferito e gli altri arrestati, detenuti in attesa dell’esecuzione sulla ghigliottina.

Robespierre era ferito gravemente, sfigurato, con una vistosa fasciatura alla mascella, e quasi incosciente. Una volta sul patibolo andò incontro alla fine senza dire una parola.
Il suo corpo, come quello degli altri giustiziati, dopo che le loro teste vennero mostrate al popolo com’era uso, finì in una fossa comune del Cimitero degli Errancis, cosparso di calce viva. L’ossario del cimitero venne poi traslato da Luigi XVIII nelle Catacombe di Parigi, dove – tra milioni di resti di nobili e miserabili – è probabile si trovino tuttora quelli dell’Incorruttibile.
Con la morte di Robespierre finì il periodo del Terrore giacobino e si aprì quello più moderato della Convenzione.

Un cunicolo delle Catacombe di Parigi. L'ossario conserva i resti di circa 6 milioni di persone.

Un cunicolo delle Catacombe di Parigi. L’ossario conserva i resti di circa 6 milioni di persone.

Al contrario di Danton – il cui nome fregia una strada, un monumento e alcune placche commemorative – Robespierre suscita ancora una certa paura. Parigi lo ricorda con una stazione della metro (a Montreuil, sulla linea 9) che porta il suo nome. Al numero 398 della rue Saint Honoré c’è una scritta dice che l’Incorruttibile abitava nella casa del falegname Duplay. Resta qualche quadro, qualche stampa, e un ciuffo dei suoi capelli canuti incastonati in un medaglione al Museo Carnavalet.
Poi non c’è altro. Nemmeno una via di Parigi porta il suo nome.

Nonostante le ingiustizie e i numerosi lati oscuri, è opinione assodata che la Rivoluzione francese del 1789 fu una necessità storica. Contribuì a plasmare la società moderna, lasciando in eredità numerose e importanti conquiste nel campo della libertà e della democrazia.
Tuttavia Robespierre rimane ancora oggi una figura storica molto controversa.
Alcuni studiosi l’hanno considerato “il più grande statista apparso sulla scena tra il 1789 e il 1794” [Anatole France] e “il più grande uomo della Rivoluzione e uno dei più grandi della storia” [George Sand]. Altri che era “onesto, sincero, disinteressato e coerente; ma anche codardo, implacabile, pedante, freddo, molto presuntuoso e morbosamente invidioso. Non ha lasciato all’umanità né il bene di un solo grande pensiero né l’esempio di una sola azione nobile o generosa” [George Henry Lewes].

Una statua moderna che ricostruisce l'aspetto di Robespierre, opera di George S. Stuart, Museum di Ventura County, California.

Una statua moderna che ricostruisce l’aspetto di Robespierre. Opera di George S. Stuart, Museum di Ventura County, California.

Tra i contemporanei, Pierre Chaunu, storico francese scomparso nel 2009 che è stato professore all’università di Caen poi di storia moderna alla Sorbona, ci lascia un ritratto ben definito:

“Robespierre era un dittatore, l’uomo di punta del Terrore. Ecco perchè è stato eliminato, anche se c’erano uomini peggiori di lui. Era un mediocre. A 35 anni era un fallito, un piccolo avvocato di provincia senza clienti. Ciò che caratterizza la Rivoluzione è l’ascensione di molta gente mediocre. Guardi come è squallido l’Incorruttibile: è stato educato grazie alla carità della Chiesa, non è riuscito a sposarsi, vive con la sorella e la sfrutta. Perché è rifiutato dai francesi? Perché i francesi hanno rispetto della vita umana. I tribunali rivoluzionari erano un orrore, massacravano alla cieca e Robespierre ne era l’ispiratore. La Rivoluzione aggrediva i popoli europei. Non si vuole comprendere che in Francia si è aspettato il 1860 per fare l’elogio della Rivoluzione perchè gli ultimi sopravvissuti erano morti. Cioè tutti coloro che avevano vissuto quel periodo. Nell’anniversario della sua decapitazione, non deve essere versata neanche una lacrima per Robespierre”.

Fonti:
- Albert Mathiez, Georges Lefebvre, La Rivoluzione francese, Einaudi
- Chi ha paura di Robespierre?

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Un passo avanti nella notte, un passo indietro nella storia

03 mercoledì Giu 2015

Posted by Giorgia Penzo in I miei viaggi, Quel che oggi ormai è storia

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antica roma, cesare, fori imperiali, notte, piero angela, Roma, storia, viaggi

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Ci sono viaggi che si possono fare soltanto nel cuore della notte. Uno di questi è l’archeoshow curato da Piero Angela e Paco Lanciano, un tour che ci porta a riscoprire in modo inedito alcuni luoghi di quella che fu la capitale del mondo conosciuto.

Viaggi nell’Antica Roma propone due percorsi e narra due storie. Nel mio ultimo soggiorno nella capitale ho avuto la fortuna di partecipare a quello nel Foro di Cesare, nei pressi dell’imponente Colonna Traiana. L’orologio segnava le ore 23.20. :)

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In questo allestimento rievocativo, si attraversa il Foro di Traiano su una passerella appositamente realizzata e si percorre la galleria sotterranea dei Fori Imperiali, aperta per la prima volta dalla fine degli scavi del secolo scorso, raggiungendo il Foro di Cesare.
Si cammina direttamente all’interno del Foro, tra i marmi rimasti mentre sistemi audio con cuffie, luci, ricostruzioni grafiche e filmati fanno rivivere quei luoghi come erano 2000 anni fa. A dir poco suggestivo.

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All’inizio della visita si attraversa un tunnel sotto il viale dei Fori Imperiali e si vedono proiettati i filmati originali dei lavori di demolizione e restauro avvenuti negli anni ’30, quando fu deciso di riportare alla luce l’intera area dei fori.

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Usciti dalla galleria sotterranea, la voce di Piero Angela ci accompagna in una passeggiata dell’enorme Piazza del Foro che all’epoca era circondata da grandiosi colonnati e dominata dal maestoso tempio di Venere Genitrice.
Tra i colonnati rimasti, riappaiono le taberne del tempo e i graffiti di una scuola romana, con i primi versi dell’Eneide.

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La visita rievoca il ruolo del foro nella vita dei romani ma anche la figura di Giulio Cesare. Per realizzare questa grande opera, Cesare dovette espropriare e demolire un intero quartiere con un costo complessivo di 100 milioni di aurei (l’equivalente di circa 300 milioni di Euro). E volle anche che, proprio accanto al suo Foro, fosse costruita la nuova sede del Senato romano, la Curia. Un edificio che ancora esiste e che, attraverso una ricostruzione virtuale, si può rivedere come appariva all’epoca.

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Foro di Cesare

Il buio morbido e la bellezza delle rovine ci danno un ultimo abbraccio sulla passerella che ci riporta nel mondo moderno. I gatti di casa nei Fori miagolano mentre dalla notte di alza un venticello frizzante.
La voce di Piero Angela fa calare il sipario su questa magica passeggiata e ci lascia con un ultimo pensiero: una congiura di senatori uccise Giulio Cesare nelle Idi di Marzo del 44 a.C. Era un uomo intelligente e ambizioso, idolatrato da alcuni, odiato e temuto da altri. La storia ce l’ha consegnato come un grande personaggio del suo tempo e i Fori da lui tanto voluti ne testimoniano la grandezza. Non avrebbe mai potuto immaginarne le evoluzioni, né che sarebbero arrivati fino a noi con un carico inestimabile di arte e sapere.

Il suo corpo venne innalzato su una pira funeraria che bruciò per due giorni; le sue ceneri si dispersero nei Fori e lì tuttora riposano. Ma nonostante siano passati millenni, Cesare non è stato dimenticato. E così molto spesso accade che, nel luogo dove venne cremato, qualcuno – ancora oggi – vi deponga un fiore.

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Così sarà, mormori chi vuole

19 martedì Mag 2015

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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anna bolena, enrico VIII, inghilterra, londra, regina, ricordo, storia

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Oggi, nell’anno 1536, Anna Bolena saliva gli scalini del patibolo sul lato nord della White Tower.
Era la seconda moglie di Enrico VIII, la donna di cui si era innamorato al punto da rinnegare Roma. Aveva scalzato Caterina d’Aragona, ottenuto di essere incoronata regina, diviso il popolo e ammaliato il re fino a costringerlo a fondare la sua Chiesa.
Anna aveva commesso un singolo errore: non concepire un maschio, l’erede al trono. L’unica figlia nata dall’unione col sovrano, Elisabetta, non era una ricompensa sufficiente per tutto quello che Enrico aveva sacrificato per averla.
Così la passione si trasformò in astio; l’amore in odio; il gesto avventato di un re nel maleficio di una strega. Una strega dai capelli scuri il cui motto era: “la più felice“. Ed Enrico decise di disfarsene.

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Scuola francese del XVI secolo. Ritratto di Anna Bolena.

Il processo di Anna Bolena fu una cinica operazione, montata all’unico scopo di condannarla a morte; a tanto si doveva arrivare affinché il terzo matrimonio nel re risultasse limpido come la reputazione della nuova amata.
Anna venne accusata di adulterio, incesto col fratello e pratiche demoniache allo scopo di soggiogare il re. La sua innocenza è certa. La regina non ammise mai alcuna colpevolezza e tutte le prove portate contro di lei non ammontano che a un insieme di mezze verità e di vere e proprie bugie.

Andarono a prenderla nella sua prigione la mattina presto di venerdì 19 maggio, attorno alle otto. Indossava un mantello di ermellino sopra una tunica di damasco verde scuro con guarnizioni di pelliccia e una sottoveste color cremisi. Una cuffia di lino bianco le avvolgeva i capelli sotto il copricapo. Le parole che rivolse alla folla davanti al patibolo furono poche e molto toccanti:
“Signori, mi sottometto umilmente alla legge poiché la legge mi ha giudicato. Quanto alle mie colpe, non accuso nessuno. Dio le conosce, e a Lui le rimetto, supplicandolo di avere pietà di me. Che Cristo salvi il re, mio sovrano e signore, il più buono, nobile e gentile principe che vi sia, che regni a lungo su di voi“.

Il momento dell'esecuzione raccontato dal film

Il momento dell’esecuzione raccontato dal film “L’altra donna del re”.

Poi Anna s’inginocchiò. Le dame le tolsero il copricapo. I folti capelli neri, trattenuti dalla cuffia, lasciavano libero l’esile collo. Agli spettatori parve che improvvisamente il boia le staccasse la testa come un sol colpo con la spada che gli si era materializzata tra le mani come per magia, senza che nessuno lo notasse. In realtà la famosa “spada di Calais” era nascosta sotto la paglia sparsa attorno al ceppo. Perché la condannata tenesse la testa nella posizione giusta e non si girasse istintivamente indietro, il boia gridò a qualcuno che stava sui gradini del palco: “Portatemi la spada“.
Anna volse la testa. E tutto fu finito.

Targa presente alla Torre di Londra che identifica il luogo dove venne eretto il patibolo.

Targa presente alla Torre di Londra che identifica il luogo dove venne eretto il patibolo.

Anna Bolena aveva trentacinque o trentasei anni. Non era nata principessa, eppure era stata regina per tre anni e mezzo; soltanto da quattro mesi era morta quella che l’aveva preceduta. Corse voce che il giorno prima dell’esecuzione i ceri attorno alla tomba di Caterina, nella cattedrale di Petersbourgh, si fossero accesi da soli. In varie parti del paese la gente vide passare lepri in corsa (animale simbolo delle streghe); lo stesso fenomeno sarebbe stato osservato per anni a venire il giorno dell’anniversario dell’esecuzione.

Il sogno di Enrico VIII non si avverrò mai. Nessuna delle sue sei mogli riuscì a dargli un erede maschio che vivesse abbastanza per regnare stabilmente sull’Inghilterra. Nella morte, Anna Bolena ebbe la sua vendetta: era la madre dello Scisma Anglicano e sarebbe stata anche quella di una grande regina. La figlia Elisabetta Tudor succedette al padre e divenne uno dei sovrani più longevi, influenti e amati della storia.

Elisabetta I nel giorno della sua incoronazione. Il ritratto è del primo decennio del XVII secolo ed è una copia dell'originale del 1559, andato perduto.

Elisabetta I nel giorno della sua incoronazione. Il ritratto è del primo decennio del XVII secolo ed è una copia dell’originale del 1559, andato perduto.

Oggi i resti di Anna Bolena riposano sotto il pavimento marmoreo della chiesa di San Pietro ad Vincula – la cappella reale della Torre di Londra – vicino a quelli di un’altra moglie di Enrico VIII, la cugina Catherine Howard. Il suo scheletro venne identificato solo in occasione dei lavori di ristrutturazione dell’edificio religioso nel 1876, durante il regno della regina Vittoria.
C’è chi dice che, di notte, il suo fantasma vaghi ancora nei cortili deserti della Tower. Una figura pallida, elegante, che sottobraccio porta con sé la propria testa…

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Fonte: "Le sei mogli di Enrico VIII", Antonia Fraser.

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Le madri nascoste dell’era Vittoriana

10 domenica Mag 2015

Posted by Giorgia Penzo in Arte ~ Cultura, Quel che oggi ormai è storia

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1800, bianco e nero, festa della mamma, foto, fotografia, mamma, photo, storia, vittoriana

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Al giorno d’oggi fotografare un bambino e ottenere un risultato soddisfacente non è poi un’impresa così ardua.
Viviamo nell’era degli smartphone e delle fotocamere digitali: non consumiamo pellicola, il click dell’otturatore è immediato e spesso la qualità dell’immagine è molto alta. La scarichiamo sul pc, ottimizziamo l’esposizione con un programma di fotoritocco gratuito, e il gioco è fatto.
Se il nostro pargolo piange, sbatte le palpebre, si contorce, non sta fermo, si addormenta o sbava, pazienza; possiamo rimandare, o scattare quasi all’infinito fino a che non otteniamo la foto perfetta da tenere con noi in ufficio.

Ma per un genitore del 19° secolo era molto più complicato avere una foto del proprio bambino.
La gentildonna di turno avrebbe dovuto vestire il figlio con l’abito inamidato più bello del corredo, trasportarlo insieme ai suoi (numerosi) fratelli nello studio fotografico più vicino – possibilmente la mattina presto quando c’era la luce migliore – e magari organizzare un gruppo famigliare che facesse da contorno; quindi obbligare tutti a stare completamente immobili per 30 secondi o giù di lì, spendere una discreta somma di denaro e attendere diversi giorni per ricevere le copie del prodotto finito, da mandare poi ad amici e parenti o da tenere nell’album di famiglia.
Ora, convincere un adulto a stare impassibile per mezzo minuto per permettere all’immagine d’imprimersi sul collodio umido era una sfida.

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Aspettarselo da un bimbo o da un neonato era praticamente impossibile. Insieme agli anziani – irritabili e traballanti – i bambini erano i soggetti più difficili da immortalare. I fotografi dell’epoca avevano infatti bisogno di molta luce e pazienza. Servivano 18-30 secondi d’immobilità per ottenere un negativo chiaro.

Per questo motivo ovviarono al problema con un escamotage tanto infallibile quanto inquietante: l’unico modo per riuscire ad avere un’immagine nitida e rilassata del bambino era che questi fosse in braccio o vicino alla sua mamma; ma dal momento che il desiderio era quello di ritrarre unicamente il figlio, le madri si nascondevano sotto drappi scuri nel tentativo di mimetizzarsi con il fondale.

Il risultato è una sfilza di frugoletti senza sorriso, accomodati su sedie dall’aspetto strano oppure appoggiati a bozzi floreali senza forma che in realtà sono le loro madri.
Anche se le immagini risultano essere abbastanza definite, a causa del processo fotografico in voga sul finire del 1800 hanno tutte un aspetto un po’ spettrale: i bianchi non sono bianchi ma una sorta di beige incombente, e le oscure figure drappeggiate delle donne sullo sfondo fanno sembrare il bambino e la madre in bilico tra un mondo e l’altro.

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Queste immagini sono toccanti per un’infinita serie di ragioni, ma anche perché pochissime mostrano bambini con espressioni felici. Il sorriso di un bambino è troppo naturale e volatile per sopportare tempi d’attesa tanto lunghi; così i fotografi chiedevano (a loro e a tutti quanti) di fissarsi in un’imperscrutabile espressione di saggezza ben più facile da tenere.

Alla Festa della Mamma si festeggiano tutte le mamme, nessuna esclusa, anche quelle che quasi 150 anni fa stavano nascoste sotto pesanti tende broccate per far sì che i figli avessero un ricordo della propria infanzia. E mentre tutti – dal fotografo ai propri cuccioli – erano seri e concentrati, lì sotto, dove nessuno poteva vederle in viso, sicuramente sorridevano.

Fonte: The lady vanishes: Victorian photography's hidden mothers

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Buon compleanno, Bram

08 sabato Nov 2014

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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book, bram stoker, compleanno, dracula, dublino, gotico, horror, letteratura, libri, libro, vampiro

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Oggi nel 1847 a Clontarf – un villaggio costiero vicino a Dublino – nasceva Abraham “Bram” Stoker, terzo di sette figli.
Era un bambino malaticcio, costretto a letto per la maggior parte dell’infanzia, e la sua improvvisa guarigione apparve addirittura come miracolosa. Ciò nonostante, il cagionevole stato di salute che lo accompagnò per anni influenzò in maniera notevole la sua attività di scrittore, fino a renderlo uno degli autori di maggior spicco nella letteratura gotica e dell’orrore del diciannovesimo secolo.

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Così come ne La Vergine del Sudario, il sonno senza fine e la resurrezione dei morti sono il tema principale della sua opera principe, Dracula, romanzo epistolare pubblicato 50 anni dopo quel giorno di novembre.
All’inizio venne presentato agli editori col titolo The Undead (Il non-morto) e anche l’epiteto del protagonista subì una sostanziale modifica.

Originariamente avrebbe dovuto chiamarsi Conte Wampyr. Assunse il nome definitivo dopo approfondite ricerche bibliografiche, storiche e folcloristiche che fecero conoscere a Stoker la figura e le imprese di un Voivoda valacco del XV secolo, Vlad Tepes III l’”Impalatore”, detto Drakul.
Tuttavia il manoscritto originale andò perduto poco dopo la pubblicazione. Venne rinvenuto soltanto negli anni Ottanta del Novecento in Pennsylvania e il ritrovamento fu provvidenziale per il rilancio il libro. In epoca vittoriana, infatti, Dracula non ebbe lo stesso successo riscosso ai giorni nostri.

❝ […] Perché la vita in fondo cos’è? Solo l’attesa di qualcosa d’altro, no? E la morte è l’unica cosa che possiamo essere sicuri che viene ❞.

Con buona pace di Le Fanu e Polidori, il nome Dracula viene ancora oggi considerato il sinonimo di vampiro.
Quando Stoker morì, nel 1912, il suo capolavoro era già alla sua nona edizione, mentre la dipartita dell’autore passò quasi inosservata: soltanto cinque giorni prima era affondato il Titanic…

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“Sono calma come si è calmi quando la coscienza non rimprovera nulla”. [Testamento di Maria Antonietta di Francia, 16 ottobre 1793]

16 giovedì Ott 2014

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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addio mia regina, francia, Maria Antonietta, marie antoinette, passato, rivoluzione francese, storia

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Era una bella giornata, con un leggero velo di foschia, e il freddo intenso delle ore notturne si era mitigato. L’immensa folla che fiancheggiava il percorso verso la ghigliottina, in place du Carrousel, si compattava intorno alle parole d’ordine urlate dalla scorta: «Fate largo all’Austriaca!» e «Viva la Repubblica!».

Maria Antonietta era reduce da un processo frettoloso voluto tra gli altri da Maximilien de Robespierre – basato su prove tendenziose e insussistenti – e un’estenuante detenzione nella prigione della Conciergerie*.
Quando il carro raggiunse place du Carrousel, era abbastanza padrona di sé. Discese tranquilla e con passo leggero – «con arroganza» – salì rapidamente i gradini del patibolo nonostante le mani legate, fermandosi solo per chiedere scusa a Sanson (il boia) per avergli pestato un piede: «Non l’ho fatto apposta».

Così si avviò di buon grado, quasi impaziente, incontro alla morte. La sua Versailles era ormai lontana. La testa di Antoinette, desiderata da Hébert, fu tagliata con un colpo netto alle dodici e quindici di mercoledì 16 ottobre 1793, e mostrata a un pubblico in delirio.

Per il suo ultimo viaggio, ad «Antoinette Capet» non fu consentito di indossare il consueto abito nero, in quanto la folla avrebbe potuto insultarla per aver osato vestirsi a lutto. Le fu quindi permesso di indossare il semplice abito bianco di tutti i giorni; nessuno ricordava che, in passato, il bianco era il colore del lutto per le regine di Francia.

Maria Antonietta diventò il capro espiatorio di ogni male che aveva colpito il Paese. Fra l’altro, sarebbe stata incolpata di tutta la Rivoluzione francese da coloro che, ottimisticamente, volevano trovare un unico «colpevole» per poter spiegare i complessi errori del passato.
La sfortuna la perseguitò dal suo arrivo in Francia, ambasciatrice non voluta e inadeguata di una grande potenza, moglie bambina respinta, fino alla fine, quando divenne la vittima sacrificale del fallimento della monarchia.

Digital art by Ricardo Salamanca

Digital art by Ricardo Salamanca

[…] «Che mio figlio non dimentichi mai le parole di suo padre… non tenti mai di vendicare la nostra morte. […] Adieu, mia buona e tenera sorella; che questa lettera possa giungere fino a voi! Conservate sempre il mio ricordo; vi abbraccio con tutto il cuore, insieme a quei poveri, amati figli. Mio Dio, solo lacerata al pensiero di abbandonarli per sempre».

Clip del film

Clip del film “Les Adieux à la Reine”, diretto da Benoît Jacquot e basato sul romanzo “Addio mia regina” di Chantal Thomas, ambientato nei primissimi giorni della Rivoluzione francese.

Chantal Thomas - Addio mia Regina, pag. 24

Chantal Thomas – Addio mia Regina, pag. 24

FONTE:

  • A. Fraser, Maria Antonietta – La solitudine di una regina (Oscar Storia Mondadori)

* La figura di Maria Antonietta ha ispirato il mio saggio I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta – Dal trono al patibolo – giunto nel 2017 alla seconda edizione e disponibile anche in ebook – il quale analizza dal punto di vista giuridico i dibattimenti che gli ultimi sovrani dell’Ancien Régime dovettero affrontare in pieno clima rivoluzionario. QUI il blog di Francesca Rossi “Divine Ribelli” ha dedicato al libro una bellissima recensione, proprio in questo giorno così carico di significato *

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Ieri, in una fotografia

06 lunedì Ott 2014

Posted by Giorgia Penzo in Pensieri, Quel che oggi ormai è storia

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foto, fotografia, fotografie, New York, nostalgia, passato, persone, Roma, storia

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“La nostalgia è negazione, negazione di un presente infelice. E il nome di questo falso pensiero è sindrome epoca d’oro, cioè l’idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo. Vedete, è un difetto dell’immaginario romantico di certe persone che trovano difficile cavarsela nel presente”.

Quando m’imbatto in ritratti d’epoca mi piomba addosso una strana nostalgia. Strana perché non ho motivo di averne, dal momento che non ho vissuto nell’Ottocento (mi sembrava carino specificarlo).
Eppure sta lì, dietro il cuore. Fa capolino dal nulla quando vedo carrozze, ombrellini parasole, abiti lunghi, bastoni da passeggio, gentiluomini e gentildonne passati a miglior vita da un pezzo.
È una sensazione diversa da quella che mi prende quando osservo un quadro che mi piace. La fotografia coglie un istante di vita non interpretata, diverso dall’ideale rappresentato su una tela.

Fifth Avenue in front of the Plaza, 1898. (NYC)

New York City, 1883

New York City, 1883

Roma, 1895

Roma, 1895

Roma, Villa Borghese. 1864

Roma, Villa Borghese. 1864

Alcune sembrano addirittura finte, costruite ad hoc come quelle che ti propinano ai parchi divertimenti. E bisogna fare uno sforzo per comprendere alcune cose. Ad esempio che le pose immortalate su un cartoncino dagli angoli molli – scovato in soffitta o al mercato dell’antiquariato – appartenevano a una vita vera, piena di persone reali. Il passato è più vicino a noi di quanto pensiamo.
Ecco allora la meraviglia delle smorfie seriose – catturate, non dipinte – che hanno più di centocinquant’anni.
Del rumore della pioggia sopra un calesse. Lo si può quasi vedere.
Dei vestiti ingombranti, preziosi, che non si possono indossare senza l’aiuto di qualcuno.
Delle amicizie che, anche a distanza di secoli, non finiscono mai.

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New York, 1870

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Deal, Kent. 1899

Deal, Kent. 1899

Ciò che noi fingiamo d’essere e interpretare – magari a carnevale o una festa a tema – una volta era la quotidianità. Non è poi così scontato. Io faccio ancora fatica a crederlo. I romantici vedono soltanto i lati positivi delle epoche che furono. E probabilmente è proprio perchè non possiamo tornare indietro per toccare con mano che ci concediamo il lusso di immaginarcele come ci pare. Senza gli odori pungenti, le malattie, le scomodità, le difficoltà giornaliere.

Dopotutto qualcuno ci ha vissuto davvero laggiù, nel passato. E se è un sorriso genuino a uscire dal bianco e nero, beh, allora non doveva essere poi così male.

Loveday-Lemon

Per chi volesse approfondire:

  • Consiglio cinematografico per coloro che sentono di appartenere a un altro tempo: Midnight in Paris (Woody Allen)
  • La pagina Facebook Avere nostalgia di epoche mai vissute, dove trovare conforto.

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La strage dei Romanov, la Cattedrale sul Sangue e il destino dell’ultima zarina

16 mercoledì Lug 2014

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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anastasia, rivoluzione russa, romanov, russia, zar

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Nella notte tra il 16 e il 17 luglio 1918 Jakov Michajlovič Jurovskij, rivoluzionario russo,  fu incaricato di occuparsi della preparazione, dello sterminio e del successivo occultamento dei corpi dello zar deposto Nicola II, della famiglia imperiale e dei suoi servitori.
Dopo la Rivoluzione di Febbraio – e in seguito al precipitare degli eventi che esclusero la possibilità di un espatrio almeno per la moglie e i cinque figli dell’ex sovrano – la famiglia Romanov venne detenuta dai bolscevichi a Casa Ipat’ev nella città di Ekaterinburg, ribattezzata “Casa a destinazione speciale“. Vi soggiornò 78 giorni.

Casa Ipat'ev, in russo: Дом Ипатьева

Casa Ipat’ev, in russo: Дом Ипатьева

Tra le undici e mezzanotte il commissario Jurovskij svegliò l’ex-zar e la famiglia, dando l’ordine di preparare i bagagli in vista di un fantomatico trasferimento in un luogo più sicuro. In realtà era solo un pretesto per condurli al pianterreno, in una stanza di legno stuccato (per evitare rimbalzi dei proiettili), da cui erano stati levati tutti i mobili e nella quale sarebbe avvenuta la mattanza.
Lo squadrone d’esecuzione comprendeva quattro bolscevichi russi e sette soldati ungheresi. Questi ultimi, prigionieri di guerra che non parlavano russo, erano stati scelti proprio per evitare la possibilità che si rifiutassero di sparare allo zar o risparmiare le sue figlie.
Con la scusa della necessità di immortalarli in una fotografia, Jurovskij indicò alla famiglia imperiale come disporsi nella stanza: seduti in prima fila c’erano Aleksandra Fëdorovna e Aleksej, accanto a loro Nicola e alle loro spalle le figlie; sui lati, invece, i membri del seguito. Nessuno di loro sospettava niente. Nel frattempo, nella camera accanto, il plotone era in attesa dell’ordine di Jurovskij.

Quando entrò la squadra, il commissario disse ai Romanov che in considerazione del fatto che i loro parenti continuavano l’attacco contro la Russia sovietica, il Comitato esecutivo degli Urali aveva deciso di giustiziarli. Nicola voltò le spalle alla squadra, volgendosi verso la famiglia, poi, come tornato in sé, si girò in direzione del commissario., chiedendo: «Come? Come?» […] Il commissario ripeté in fretta e ordinò alla squadra di puntare. Nicola non disse più nulla, si voltò di nuovo verso la famiglia, agli altri sfuggirono altre esclamazioni sconnesse. Tutto ciò durò alcuni secondi.
(E. Radzinskij, L’ultimo zar. Vita e morte di Nicola II)

Il primo a cadere fu Nicola II, poi toccò alla moglie, ai membri del seguito (il medico Dott. Botkin, l’inserviente Trupp e il cuoco Charitonov), ai figli Ol’ga, Tat’jana, Marija, Anastasija, Aleksej, e alla dama di compagnia Anna Demidova. Le urla e i pianti disperati confondevano gli uomini, che non riuscivano a prendere bene la mira.
A causa dello “scudo” di gioielli nascosti nei corsetti che le ragazze avevano portato con loro in vista della presunta partenza, tre figlie di Nicola non morirono all’istante. Rannicchiate in un angolo, terrorizzate e agonizzanti dalle ferite, vennero trafitte a colpi di baionetta e colpite col calcio dei fucili.

Ritratto ufficiale della famiglia imperiale realizzato dalla Compagnia Levitskij nel 1913. Da sinistra a destra, in piedi: la granduchessa Marija e la zarina Aleksandra Fëdorovna; seduti: la granduchessa Ol'ga, lo zar Nicola II, la granduchessa Anastasia, lo zarevič Aleksej e la granduchessa Tat'jana

Ritratto ufficiale della famiglia imperiale realizzato dalla Compagnia Levitskij nel 1913. Da sinistra a destra, in piedi: la granduchessa Marija e la zarina Aleksandra Fëdorovna; seduti: la granduchessa Ol’ga, lo zar Nicola II, la granduchessa Anastasia, lo zarevič Aleksej e la granduchessa Tat’jana

L’esecuzione terminò dopo venti, lunghissimi minuti. Tuttavia al momento di trasportare i corpi sulla camionetta, i soldati si resero conto che alcune granduchesse era ancora vive e dovettero finirle con le baionette.
Le salme (tra cui anche quelle di Jimmy, il cane di Anastasija, e Ortino, il bulldog di Tat’jana), vennero trasportate nel vicino bosco di Koptiakij, chiamato La radura dei quatto fratelli, e lì occultate. Denudate, fatte a pezzi e gettate nel pozzo di una vecchia miniera, furono sciolte con acido solforico e infine date alle fiamme.

Il 20 luglio venne pubblicato a Ekaterinburg il decreto dell’eseguita esecuzione:

Decreto del Comitato esecutivo del Soviet degli Urali dei deputati operai, contadini e dell’Armata rossa. Avendo notizia che bande cecoslovacche minacciano Ekaterinburg, capitale rossa degli Urali, e considerando che il boia coronato, qualora si desse alla latitanza, potrebbe sottrarsi al giudizio del popolo, il Comitato esecutivo, dando corso alla volontà del popolo, ha decretato di procedere all’esecuzione dell’ex zar Nikolaj Romanov, colpevole di innumerevoli crimini sanguinosi.
(E. Radzinskij, L’ultimo zar. Vita e morte di Nicola II)

Il 30 luglio l’Armata Bianca arrivò ad Ekaterinburg e arrestò alcuni uomini dell’Armata Rossa che avevano partecipato indirettamente al crimine, dando inizio all’indagine.
A nulla valse lo sforzo del Soviet centrale di Mosca, che in seguito negò il massacro dell’intera famiglia, comunicando la sola fucilazione dello zar in un tentativo di fuga. Furono inutili anche i tentativi di Jurovskij e dei suoi uomini di nascondere ogni traccia dell’esecuzione di massa. Nel gelido bosco di Ekaterinburg gli 11 scheletri furono individuati sul finire degli anni Settanta, resi noti nel 1989 e riesumati nel 1991.

La cattedrale sul Sangue (in russo: Храм на Крови) a Ekaterinburg.

La Cattedrale sul Sangue (in russo: Храм на Крови) a Ekaterinburg.

Nel 1974 Casa Ipat’ev, teatro dell’eccidio, diventò un monumento nazionale, ma poi fu demolita. Il 20 settembre 1990 il Soviet di Sverdlovsk consegnò il progetto alla Chiesa Ortodossa Russa per la costruzione di una cappella commemorativa, lì dove una volta sorgeva Casa Ipat’ev. La Cattedrale sul Sangue venne completata nel 2003.
Nel 2000 la famiglia Romanov ricevette la canonizzazione come vittima dell’oppressione dall’Unione Sovietica. Lo zar Nicola II, sua moglie e i loro cinque figli sono santi della Chiesa Ortodossa Russa fuori dalla Russia e portatori di passione della Chiesa Ortodossa Russa.

Aleksandra Fëdorovna Romanova, nata Alix Viktoria Helena Louise Beatrice d'Assia e del Reno.

Aleksandra Fëdorovna Romanova, nata Alix Viktoria Helena Louise Beatrice d’Assia e del Reno.

Da quella notte è passato quasi un secolo.
In tutto questo orrore spicca la figura della nipote della famosa regina Vittoria. La storia si ripete: quello della zarina Aleksandra è un trascorso tragicamente molto simile a quello di un’altra regina del passato, Maria Antonietta di Francia. Entrambe spose straniere (una tedesca e l’altra austriaca), fraintese dai loro sudditi e malvolute dai parenti acquisiti, devote alla propria famiglia e alla corona, accusate di connivenza col nemico, prigioniere e vittime di una rivoluzione. Ed entrambe martirizzate dai rispettivi Paesi molto tempo dopo la loro morte.
L’omicidio dei Romanov non ha solo cancellato un’era, ma soprattutto una famiglia e una storia d’amore, quella di Aleksandra e Nicola. Un amore forte, indissolubile, nonostante l’opposizione delle famiglie, i difetti di entrambi e l’incedere della storia.
Nonostante tutto e fino alla fine.

Altre fonti

  • W.H. Chamberlin, Storia della rivoluzione russa
  • C. Erickson, La zarina Alessandra: Il destino dell’ultima imperatrice di Russia
  • V. Aleksandrov, La tragedia dei Romanov

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Rien.

14 lunedì Lug 2014

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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14 luglio, Antonia fraser, citazioni, Luigi XVI, Maria Antonietta, rien, rivoluzione francese, storia

La regina trascorse la giornata del 14 luglio, come il resto della corte, nella più completa ignoranza di quanto stava accadendo a Parigi. E non sembrava nemmeno che qualcuno avesse fretta di informarne il re. Questi si trovava a letto quando il duca di Liancourt, un aristocratico di tendenze liberali, gli portò la notizia.
«È una rivolta?» chiese Luigi XVI.
«No, sire» fu la risposta di Liancourt. «È una rivoluzione».

– Maria Antonietta. La solitudine di una regina (A. Fraser)

Diario personale di Luigi XVI alla data 14 luglio 1789:

Diario personale di Luigi XVI alla data 14 luglio 1789: “Rien”. In realtà il “Niente” si riferisce all’esito della battuta di caccia a cui il sovrano aveva preso parte. Rimane comunque un dettaglio suggestivo se pensiamo agli eventi che poi seguirono.

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