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Gio.✎

~ Avete presente quegli scomodi abiti vittoriani? Ecco. Io non vorrei indossare altro.

Gio.✎

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Ogni giorno come il primo giorno #16

10 martedì Apr 2018

Posted by Giorgia Penzo in Pensieri, Romanzi

≈ 3 commenti

Tag

amicizia, blog, libro, nostalgia, occasioni, ognigiornocomeilprimogiorno, passato, Pensieri, petra, scuola

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Alle scuole elementari avevo una migliore amica. Eravamo inseparabili, vivevamo in simbiosi dalla prima all’ultima campanella, quella che ci rispediva a casa con la promessa che ci saremmo riviste il mattino dopo. Sul palmo della mia mano avevo il solco del suo. Credevo saremmo rimaste legate per sempre. Quando si è piccoli è così che funziona, è un attimo illudersi che le cose belle durino in eterno.
Durante i pomeriggi che passavo da lei, dopo la merenda ci sdraiavamo sul suo letto a fantasticare su quello che avremmo fatto in futuro, insieme. Ci scambiavamo foto, sogni, confidenze. Progettavamo nei minimi dettagli eventi che avrebbero impiegato anni per realizzarsi. Non c’era motivo per pensare che non sarebbe stato così.
Poi un giorno – semplicemente – ci siamo lasciate andare. Non ricordo quando, di preciso. Ma è successo. Strade diverse, gusti diversi, scelte diverse. Succede di separarsi senza volerlo davvero, e di non fare niente per evitarlo. Poi capita di ripensarci e di chiedersi come sarebbe andata la nostra vita se avessimo scelto di tenerlo ben stretto, quel nodo. 
→ continua sulla pagina Facebook Ogni giorno come il primo giorno

 

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❝Il passato non è un pacchetto che si può mettere da parte❞ [E. Dickinson] – Le vere origini della Befana

05 giovedì Gen 2017

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

≈ 25 commenti

Tag

antica roma, arte, befana, dea, diana, epifania, mitologia, origini, passato, tradizioni

La figura della Befana e la festività dell’Epifania hanno origine nei riti propiziatori della fertilità che presero forma fra le popolazioni italiche nel X-VI secolo a.C.
Anticamente, infatti, Ephiphaneia (che in greco significa “manifestazione”) era la rivelazione della vegetazione – della Dea Natura – che spuntava nei campi con l’anno nuovo.

Nell’Antica Roma, nella notte tra il 5 e il 6 gennaio (la dodicesima dopo la celebrazione del Sol Invictus il quale ricorreva il 25 dicembre, data in cui in seguito venne stabilito il Natale cristiano), la tradizione voleva che Diana – dea lunare della caccia e della vegetazione – volasse sopra le campagne col suo corteo di ninfe benedicendo la semina per il buon raccolto. La prima settimana di gennaio, infatti, era un periodo molto critico per l’agricoltura in cui non poteva gelare o grandinare, pena la morte dei semi.

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Statua di Diana/Artemide con un capriolo, copia romana di originale ellenistico (Parigi, Museo del Louvre)

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Guillaume Seignac, Diana cacciatrice. Olio su tela (collezione privata)

La Chiesa la considerò malefica, trasmutando la sua figura in quella di una strega, ma poiché il culto persisteva ne accettò una modifica: Diana diventò vecchia e brutta ma benefica, mescolandosi con la dea Strenia che nel solstizio d’inverno portava doni ai bambini romani; la strenna, il regalo che è d’uso fare o ricevere periodo natalizio, deriva proprio dallo scambio di doni augurali durante i Saturnalia, il ciclo di festività romane che si svolgevano dal 17 al 23 dicembre in onore del dio Saturno.
Via via questo accomodamento si trasformò in un mito, poi nella favola che oggi fa parte del nostro folklore.

Poiché nelle campagne sopravvisse a lungo la religione pagana, soprattutto nelle dee legate alla fertilità dei campi, la Chiesa si ingegnò a creare Santi che sostituissero questo compito, inventando la benedizione dei campi, degli animali, degli attrezzi da lavoro, del raccolto e così via; ma nelle campagne per oltre un millennio – e addirittura quasi per 1500 anni in alcune zone – restò in auge la dea Diana, riedizione della dea Dia (protettrice della fecondità della terra e ancora più antica) da cui proviene il termine Dio. Sostituire Dia o Diana con un termine maschile complementare sembrò più facile, e in effetti funzionò.

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Stele rappresentante prefetto del pretorio che compie un sacrificio a Dia (Colonia)

Nella Befana rivivono simbolicamente culti pagani, antiche consuetudini, tradizioni magiche, credenze religiose che si intrecciano, si sovrappongono e si modificano tra loro. Tutte fanno parte della nostra cultura, nessuna deve essere dimenticata o esclusa; ciascuna di essa è meritevole di rispetto, indipendentemente dalla fede personale.
La Festa della Dodicesima Notte ispirò – tra gli altri – William Shakespeare che scrisse l’opera omonima tra il 1599 e il 1601.

Nascondi ciò che sono e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni. – Viola: atto I, scena II

La Dodicesima Notte ebbe la prima rappresentazione – almeno secondo quanto ipotizzato da Giorgio Melchiori nel saggio Shakespeare. Genesi e struttura delle opere – proprio il 6 Gennaio del 1601 al Globe Theatre di Londra ed è considerata una delle migliori commedie pure del drammaturgo inglese.
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Fonte: Romano Impero

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso

29 lunedì Ago 2016

Posted by Giorgia Penzo in I miei viaggi

≈ 40 commenti

Tag

arte, bellezza, blog, Campania, Caserta, Ercolano, estate, Gubbio, italia, italy, meraviglioso, Napoli, passato, Pompei, storia, Umbria, vacanze, viaggi, viaggiare

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso, a volte, ce lo scordiamo.
È dietro l’angolo, comodo, spesso troppo snobbato. Cerchiamo altrove quel che può farci felici qui, e più lontano del necessario ciò che può riempirci gli occhi di stupore e condizionarci negli anni a venire.
È successo che ho fatto il pieno di meraviglia. E adesso ve lo racconto.

Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova agli Scavi Archeologici di Ercolano.

"È strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato". (A. Roy)

“È strano come a volte il ricordo della morte sopravviva molto più a lungo della vita che essa ha rubato”. (A. Roy)

Ercolano è una bolla immobile di passato congelata nella roccia vulcanica. È una fossa ferma a duemila anni fa contornata, più su, dal presente: case, strade, persone, vite frenetiche, funzioni religiose e civili che si susseguono tra gli impegni di tutti i giorni. Come sopra, così sotto. Sotto, però, si respira polvere e storia.
Ercolano_1Ercolano è intima, silenziosa. Una pace quasi irreale si muove tra le mura rimaste. Mentre si passeggia, ci si ascolta e non si può fare a meno di pensare. Si pensa tanto, laggiù tra le colonne.
Passo dopo passo ci si accorge, tra le macerie, dei giardini pieni di alberi da frutto e dell’arte ancora aggrappata alle pareti.Ercolano_3

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La morte è confinata là dove una volta sorgeva la spiaggia. Gli scheletri che lì riposano appartengono molto probabilmente agli ultimi: servi e schiavi che non hanno avuto la possibilità di seguire i loro padroni in fuga sulle navi. Furono circa trecento le vite cancellate 1937 anni fa nella sola Ercolano: nella notte del 24 agosto del 79 d.C., almeno secondo una lettera di Plinio il Giovane a Tacito, il soffio rovente del Vesuvio macinò in una manciata di minuti i chilometri che lo separavano dalla cittadina, cancellandola.

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova agli Scavi Archeologici di Pompei, la “sorella maggiore” di Ercolano.

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“Io sono madre della natura, la signora di tutti gli elementi, la regina dei morti, la prima dei celesti. Gli Egizi mi chiamano con il mio vero nome, Iside Regina”. da Lucio Apuleio, Le metamorfosi (libro XI, V) – Tempio di Iside (Pompei)

Più estesa, più imponente, più tragica. Sole a picco, caldo torrido, un deserto di rovine che non finisce mai, molto del quale giace ancora sotto la superficie. È un dedalo di terra, pietre e cenere diventata roccia. Si passeggia sulle strade dove centinaia di persone – duemila anni fa – hanno passeggiato in pace; le stesse dove poi sono scappate in preda al terrore. Non mancano i brividi quando la mente se ne rende conto.
L’archeologia ricostruttiva messa in atto a Pompei ha permesso al passato di tornare vivo: analizzando i resti delle radici impiantate all’interno della cinta muraria, la tipologia di vigneto scoperta è stata ricollocata lì dove una volta si trovavano gli antichi paletti. Oggi le vigne vengono coltivate secondo il metodo usato dalla popolazione vesuviana, senza pesticidi né l’ausilio di macchinari moderni.
Dall’uva si produce il rosso Villa dei Misteri, un’eccellenza e un patrimonio unico. 1500 bottiglie l’anno, l’annata 2007 è quella attualmente in commercio. Forse una delle cose più affascinanti in cui sia mai incappata.

Villa dei Misteri - Pompei

Villa dei Misteri – Pompei

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Si sente ancora strisciare l’ombra della morte, a Pompei: succede quando l’occhio incappa sui corpi pietrificati dei bambini, degli adulti protesi a proteggerli, dei cani, nella pagnotta di pane carbonizzata conservata dentro una teca insieme ad altri alimenti. È impossibile non immedesimarsi.

Avevamo appena fatto in tempo a sederci quando si fece notte, non però come quando non c’è luna o il cielo è ricoperto da nubi, ma come a luce spenta in un ambiente chiuso… molti innalzavano le mani agli Dei, nella maggioranza si formava però l’idea che ormai gli Dei non esistessero più e che quella notte sarebbe stata eterna e l’ultima al mondo. – dalla seconda lettera di Plinio il Giovane a Tacito.

Abitazioni anguste, pitture immense, templi, taverne, bordelli, teatri… Quando si entra nelle case per vedere cosa il vulcano ha risparmiato, viene quasi da chiedere permesso.
16 chilometri percorsi a piedi in quasi sette ore di visita, ma sarei rimasta lì il doppio. Troppi tesori in ogni angolo, troppo poco tempo. È stato uno degli arrivederci più sofferti.

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova alla Reggia di Caserta sulle tracce, come sempre, di Maria Antonietta di Francia (ma anche di Star Wars, perchè no?). Stanze sfarzose, giardini, fontane e ruscelletti strizzano l’occhio alla Versailles che adoro.

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Orologio nella Stanza da lavoro della Regina. Un dono di Maria Antonietta di Francia alla sorella Maria Carolina regina di Napoli. C’è un po’ di Parigi anche qui ♡

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Quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova a Gubbio.
La più bella città medievale, recita il cartello che da il benvenuto. Ed è vero. Abbarbicata, con le romantiche viuzze di sasso, il profumo di cibo che sale mentre il sole scende e gli odori umbri che si mescolano nel vento, la magia eterna di un castello arroccato.
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Una chicca: quel che noi abbiamo di meraviglioso si trova a Recanati.
Passeggiare tra le vie di questo paesino al tramonto o la sera, quando la luna è alta, è qualcosa di estremamente suggestivo. Ovunque si respira e si legge poesia, dai muri delle case alle insegne nelle piazze, sulle vetrine dei negozi, sulle porte delle scuole, nei giardini, sulle luminarie che addobbano i viali per le feste estive.
Si scorge davvero l’infinito sulla terrazza del Monte Tabor. Il mio consiglio è quello di visitare Recanati dopo aver visto il film Il giovane favoloso che ripercorre la vita di Leopardi: alla fine dei titoli di coda, ve lo assicuro, sarà semplicemente Giacomo.

13901493_10210296050308358_2565832085532188982_nNegli ultimi anni della sua vita, Leopardi si trasferì a Napoli e poi in una villa a Torre del Greco per sfuggire a un’epidemia di colera. Lì compose la sua penultima lirica, La ginestra, ispirata da un’eruzione del Vesuvio a cui il poeta assistette e in cui inserì una riflessione sulla desolazione dell’antica Pompei. E così, per me, è quasi come chiudere il cerchio di questo viaggio favoloso.

Torna al celeste raggio
Dopo l’antica obblivion l’estinta
Pompei, come sepolto
Scheletro, cui di terra
Avarizia o pietà rende all’aperto;
E dal deserto foro
Diritto infra le file
Dei mozzi colonnati il peregrino
Lunge contempla il bipartito giogo
E la cresta fumante,
Ch’alla sparsa ruina ancor minaccia.
E nell’orror della secreta notte
Per li vacui teatri, per li templi
Deformi e per le rotte
Case, ove i parti il pipistrello asconde,
Come sinistra face
Che per voti palagi atra s’aggiri,
Corre il baglior della funerea lava,
Che di lontan per l’ombre
Rosseggia e i lochi intorno intorno tinge.

Quel che noi abbiamo davvero di meraviglioso è la possibilità di viaggiare, fare esperienze, costruire ricordi e soprattutto condividere questi momenti insieme alla persona giusta. Non c’è ricchezza più grande, né soddisfazione maggiore.
Trovate la vostra persona, trovate i vostri luoghi. Forse non esiste augurio più bello. :)

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15 film pre anni ’60 con cui riempire la domenica (e che non potete perdervi)

13 domenica Mar 2016

Posted by Giorgia Penzo in Arte ~ Cultura

≈ 48 commenti

Tag

amore, bianco e nero, blog, cinema, domenica, film, passato, Pensieri

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Se c’è un modo in cui adoro passare le domeniche è fare zapping in televisione e spulciare le reti locali (raramente quelle nazionali) alla ricerca di qualche film pre anni ’60.
Che sia famosissimo o sconosciuto ai più, poco importa. I dialoghi sembrano usciti da un classico della letteratura: in ogni frase trasuda un linguaggio anacronistico, aulico, ammaliante; anche l’espressione più semplice suona come una battuta teatrale. E poi sguardi che parlano più di mille scene esplicite; baci statici che altro che farfalle nello stomaco.
Gli uomini? D’altri tempi.
Le donne? Di una grazia ormai perduta che si disperano e si struggono alternando dignità a melodramma.
Nessuna parolaccia, nessun gesto volgare: la maestria del passato sta nel mostrare un polpaccio e lasciare intendere cosa accade dopo.
Gesti lenti, pause, attese, cose non dette prigioniere dietro un ventaglio di cui bisogna immaginare il colore.

Questi film, soprattutto quelli in bianco e nero, sono un confort food per l’anima.
Bisogna riempirsi le orecchie delle musiche trionfali dei titoli di testa, dei violini, delle colonne sonore classiche, dei rumori di fondo dovuti alla pellicola consunta; bisogna riempirsi gli occhi dei puntini tra il nome dell’attore e il ruolo che interpreta, della classe con cui il protagonista manda a quel paese il suo antagonista senza perdere un grammo di charme.
Che classe, signori. Che poesia.

E a voi piacciono i vecchi film? Quali sono i vostri preferiti?
Tralasciando i peplum – che adoro dal primo all’ultimo – di seguito trovate l’elenco dei 15 film pre anni ’60 secondo me imperdibili, ordinati dal più datato al più recente; purtroppo trovarli in dvd/blu-ray non è sempre facile, ma per alcuni c’è più speranza di altri.
Per completezza ho aggiunto anche un link (quando rintracciabile) al libro o alla pièce teatrale da cui è stato tratto o ha ispirato il relativo film.
Buona scorpacciata! ;)

  • Nosferatu (F.W. Murnau), 1922 ➺ scheda | dove acquistarlo | libro
  • Piccole donne (G. Cukor), 1933 ➺ scheda | dove acquistarlo | libro
  • Jane Eyre – L’angelo dell’amore (C. Cabanne), 1934 ➺ scheda | libro
  • L’imperatrice Caterina (J. Von Sternberg), 1934 ➺ scheda | dove acquistarlo
  • La leggenda di Robin Hood (M. Curtiz), 1938 ➺ scheda | dove acquistarlo
  • Maria Antonietta (W.S. Van Dyke II), 1938 ➺ scheda | dove acquistarlo
  • Il mago di Oz (V. Fleming), 1939 ➺ scheda | dove acquistarlo | libro
  • Via col vento (V. Fleming), 1939 ➺ scheda | dove acquistarlo | libro
  • Casablanca (M. Curtiz), 1942 ➺ scheda | dove acquistarlo
  • Anna e il re del Siam (J. Cromwell), 1946 ➺ scheda | libro
  • I tre moschettieri (G. Sidney), 1948 ➺ scheda | dove acquistarlo | libro
  • Il favorito della grande regina (H. Koster), 1955 ➺ scheda | dove acquistarlo
  • Il settimo sigillo (I. Bergman), 1957 ➺ scheda | dove acquistarlo | libro
  • A qualcuno piace caldo (B. Wilder), 1959 ➺ scheda | dove acquistarlo
  • Viaggio al centro della Terra (H. Levin), 1959 ➺ scheda | dove acquistarlo | libro

Pubblicazione1

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Pettegolezzi

14 lunedì Set 2015

Posted by Giorgia Penzo in Pensieri

≈ 36 commenti

Tag

anima, nostalgia, passato, Pensieri, vintage

Dicono che se hai meno di trent’anni e ti senti vecchia dentro è perchè la tua anima appartiene a un’altra epoca.
E io un po’ ci credo.
large (26)

 

 

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❝ Noi non combattiamo per quelli che vivono oggi, ma per coloro che verranno ❞ [Maximilien de Robespierre]

28 martedì Lug 2015

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

≈ 9 commenti

Tag

francia, parigi, passato, rivoluzione francese, robespierre, storia

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Oggi, nel 1794, Maximilien-François-Marie-Isidore de Robespierre – l’Incorruttibile – veniva ghigliottinato a Parigi in Place de la Revolution.
Il karma, verrebbe da pensare. Ma andiamo per ordine.

Devoto alla causa rivoluzionaria della Repubblica francese fino al sacrificio della vita stessa, Robespierre fu uno dei massimi esponenti del Terrore: una fase storica caratterizzata dal predominio politico dei membri del Comitato di Salute Pubblica che mirava a schiacciare tutti gli oppositori interni della Rivoluzione e combattere con maggiore efficacia la guerra esterna contro le monarchie europee dell’Ancien Régime.

Ritratto di Robespierre, Museo Carnevalet.

Ritratto di Robespierre, Museo Carnevalet.

Un'illustrazione della sala delle Tuileries dove si riuniva il Comitato di Salute Pubblica.

Un’illustrazione della sala delle Tuileries dove si riuniva il Comitato di Salute Pubblica.

I metodi di repressione dell’epoca erano rapidi e inflessibili: tra il 6 aprile 1793 ed il 30 luglio 1794 vennero eseguite, nella sola Parigi, 2663 condanne a morte.

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Una carretta di condannati al patibolo durante il Terrore.

Ad un certo punto, le misure eccezionali emanate durante il Terrore iniziarono a sembrare eccessive e i loro responsabili a essere malvisti dall’opinione pubblica. I nemici di Robespierre misero in giro la voce che volesse distruggere tutto quello per cui si era battuto: ovvero restaurare la monarchia costituzionale istituita nel 1791 – ponendo sul trono il delfino Luigi Carlo, di nove anni, prigioniero alla Tour du Temple dopo l’esecuzione del re e della madre Maria Antonietta – e nominare sé stesso reggente del regno.

Quando Robespierre esitò nel replicare a questi attacchi davanti alla Convenzione, seguì una rissa furibonda. Invano tentò di riprendere la parola, e prima di essere arrestato insieme ai suoi ultimi sostenitori reagì con un’esclamazione rassegnata: “La Repubblica è perduta, i briganti trionfano“.

Jean-Lambert Tallien brandisce il pugnale contro Robespierre durante la seduta della Convenzione del 9 Termidoro.

Jean-Lambert Tallien brandisce il pugnale contro Robespierre durante la seduta della Convenzione del 9 Termidoro.

Nella mattina del 28 luglio 1794, alle 10.30 circa, le Guardie Nazionali fedeli alla Convenzione si impadronirono dell’Hôtel de Ville e arrestarono numerosi dirigenti giacobini fedeli a Robespierre, il quale venne ferito da un colpo di pistola che gli fracassò la mascella. Fu un tentativo di suicidio? Fu veramente il gendarme Charles-André Merda a far fuoco? Alcuni storici sono ancora incerti su quello che successe davvero.
Sta di fatto che tutti i rivoluzionari catturati, pressapoco una ventina, vennero condotti alla prigione della Conciergerie per un formale atto di riconoscimento. La cella in cui venne rinchiuso Robespierre – volere della sorte – era vicina a quella che nove mesi prima aveva ospitato Maria Antonietta, la regina decaduta che egli aveva voluto fortemente portare di fronte al Tribunale Rivoluzionario per rispondere dei crimini contro lo Stato.

I prigionieri vennero quindi inviati, senza processo, dopo circa quattordici ore dalla cattura, alla ghigliottina in Place de la Revolution, tra la folla esultante per la fine del “tiranno”.

L'arresto di Robespierre.

L’arresto di Robespierre.

Valery Jacobi - Robespierre ferito e gli altri arrestati, detenuti in attesa dell'esecuzione sulla ghigliottina.

Valery Jacobi – Robespierre ferito e gli altri arrestati, detenuti in attesa dell’esecuzione sulla ghigliottina.

Robespierre era ferito gravemente, sfigurato, con una vistosa fasciatura alla mascella, e quasi incosciente. Una volta sul patibolo andò incontro alla fine senza dire una parola.
Il suo corpo, come quello degli altri giustiziati, dopo che le loro teste vennero mostrate al popolo com’era uso, finì in una fossa comune del Cimitero degli Errancis, cosparso di calce viva. L’ossario del cimitero venne poi traslato da Luigi XVIII nelle Catacombe di Parigi, dove – tra milioni di resti di nobili e miserabili – è probabile si trovino tuttora quelli dell’Incorruttibile.
Con la morte di Robespierre finì il periodo del Terrore giacobino e si aprì quello più moderato della Convenzione.

Un cunicolo delle Catacombe di Parigi. L'ossario conserva i resti di circa 6 milioni di persone.

Un cunicolo delle Catacombe di Parigi. L’ossario conserva i resti di circa 6 milioni di persone.

Al contrario di Danton – il cui nome fregia una strada, un monumento e alcune placche commemorative – Robespierre suscita ancora una certa paura. Parigi lo ricorda con una stazione della metro (a Montreuil, sulla linea 9) che porta il suo nome. Al numero 398 della rue Saint Honoré c’è una scritta dice che l’Incorruttibile abitava nella casa del falegname Duplay. Resta qualche quadro, qualche stampa, e un ciuffo dei suoi capelli canuti incastonati in un medaglione al Museo Carnavalet.
Poi non c’è altro. Nemmeno una via di Parigi porta il suo nome.

Nonostante le ingiustizie e i numerosi lati oscuri, è opinione assodata che la Rivoluzione francese del 1789 fu una necessità storica. Contribuì a plasmare la società moderna, lasciando in eredità numerose e importanti conquiste nel campo della libertà e della democrazia.
Tuttavia Robespierre rimane ancora oggi una figura storica molto controversa.
Alcuni studiosi l’hanno considerato “il più grande statista apparso sulla scena tra il 1789 e il 1794” [Anatole France] e “il più grande uomo della Rivoluzione e uno dei più grandi della storia” [George Sand]. Altri che era “onesto, sincero, disinteressato e coerente; ma anche codardo, implacabile, pedante, freddo, molto presuntuoso e morbosamente invidioso. Non ha lasciato all’umanità né il bene di un solo grande pensiero né l’esempio di una sola azione nobile o generosa” [George Henry Lewes].

Una statua moderna che ricostruisce l'aspetto di Robespierre, opera di George S. Stuart, Museum di Ventura County, California.

Una statua moderna che ricostruisce l’aspetto di Robespierre. Opera di George S. Stuart, Museum di Ventura County, California.

Tra i contemporanei, Pierre Chaunu, storico francese scomparso nel 2009 che è stato professore all’università di Caen poi di storia moderna alla Sorbona, ci lascia un ritratto ben definito:

“Robespierre era un dittatore, l’uomo di punta del Terrore. Ecco perchè è stato eliminato, anche se c’erano uomini peggiori di lui. Era un mediocre. A 35 anni era un fallito, un piccolo avvocato di provincia senza clienti. Ciò che caratterizza la Rivoluzione è l’ascensione di molta gente mediocre. Guardi come è squallido l’Incorruttibile: è stato educato grazie alla carità della Chiesa, non è riuscito a sposarsi, vive con la sorella e la sfrutta. Perché è rifiutato dai francesi? Perché i francesi hanno rispetto della vita umana. I tribunali rivoluzionari erano un orrore, massacravano alla cieca e Robespierre ne era l’ispiratore. La Rivoluzione aggrediva i popoli europei. Non si vuole comprendere che in Francia si è aspettato il 1860 per fare l’elogio della Rivoluzione perchè gli ultimi sopravvissuti erano morti. Cioè tutti coloro che avevano vissuto quel periodo. Nell’anniversario della sua decapitazione, non deve essere versata neanche una lacrima per Robespierre”.

Fonti:
- Albert Mathiez, Georges Lefebvre, La Rivoluzione francese, Einaudi
- Chi ha paura di Robespierre?

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Un anno fa ero nel 1890

13 venerdì Feb 2015

Posted by Giorgia Penzo in I miei viaggi, Pensieri

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blog, carnevale, nostalgia, passato, Pensieri, ricordi, ricordo, san marco, venezia

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Un anno fa (giorno più, giorno meno) mi trovavo a Venezia per il Carnevale. Sì, Carnevale con la c maiuscola, perchè per me non ne esiste uno più bello, suggestivo, onirico e indimenticabile come quello passato in Piazza San Marco.

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Ombrello: Pasotti. Abito: La Bottega del Teatro (Reggio Emilia)

Lo so, avrei dovuto scegliere un costume settecentesco. Ma che ci posso fare? Amo troppo il periodo vittoriano. Scegliere l’abito, passeggiare tra la folla sottobraccio all’uomo che mi sopporta ogni giorno, vivere la città nel suo periodo dell’anno più splendente è stata una delle esperienze più intense della mia vita.

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Piazza San Marco

Ricordo il treno preso per un soffio, la pioggia battente, il freddo, le pause “tè caldo e biscotti” per tornare a sentire le dita, la gonna pesante per tutta l’acqua assorbita dal tessuto. Ma non importava. Ero felice.
Un anno fa mi trovavo nel 1890 e dentro quel vestito verde ci stavo molto, molto comoda. Era come se il mio corpo, dopo aver indossato corpetto e tournure, avesse sospirato: finalmente.
Una volta tolta la maschera, di Venezia rimane addosso il dondolio ereditato dal vaporetto. Dopo poco scompare e dai piedi stanchi torna tra le acque smeraldo del Canal Grande, a cui appartiene. Quando poi alla fine passa anche quella sensazione, resta la nostalgia. Quella invece dura a lungo. Ed è tanta. Troppa.

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Caffè Florian

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“Sono calma come si è calmi quando la coscienza non rimprovera nulla”. [Testamento di Maria Antonietta di Francia, 16 ottobre 1793]

16 giovedì Ott 2014

Posted by Giorgia Penzo in Quel che oggi ormai è storia

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addio mia regina, francia, Maria Antonietta, marie antoinette, passato, rivoluzione francese, storia

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Era una bella giornata, con un leggero velo di foschia, e il freddo intenso delle ore notturne si era mitigato. L’immensa folla che fiancheggiava il percorso verso la ghigliottina, in place du Carrousel, si compattava intorno alle parole d’ordine urlate dalla scorta: «Fate largo all’Austriaca!» e «Viva la Repubblica!».

Maria Antonietta era reduce da un processo frettoloso voluto tra gli altri da Maximilien de Robespierre – basato su prove tendenziose e insussistenti – e un’estenuante detenzione nella prigione della Conciergerie*.
Quando il carro raggiunse place du Carrousel, era abbastanza padrona di sé. Discese tranquilla e con passo leggero – «con arroganza» – salì rapidamente i gradini del patibolo nonostante le mani legate, fermandosi solo per chiedere scusa a Sanson (il boia) per avergli pestato un piede: «Non l’ho fatto apposta».

Così si avviò di buon grado, quasi impaziente, incontro alla morte. La sua Versailles era ormai lontana. La testa di Antoinette, desiderata da Hébert, fu tagliata con un colpo netto alle dodici e quindici di mercoledì 16 ottobre 1793, e mostrata a un pubblico in delirio.

Per il suo ultimo viaggio, ad «Antoinette Capet» non fu consentito di indossare il consueto abito nero, in quanto la folla avrebbe potuto insultarla per aver osato vestirsi a lutto. Le fu quindi permesso di indossare il semplice abito bianco di tutti i giorni; nessuno ricordava che, in passato, il bianco era il colore del lutto per le regine di Francia.

Maria Antonietta diventò il capro espiatorio di ogni male che aveva colpito il Paese. Fra l’altro, sarebbe stata incolpata di tutta la Rivoluzione francese da coloro che, ottimisticamente, volevano trovare un unico «colpevole» per poter spiegare i complessi errori del passato.
La sfortuna la perseguitò dal suo arrivo in Francia, ambasciatrice non voluta e inadeguata di una grande potenza, moglie bambina respinta, fino alla fine, quando divenne la vittima sacrificale del fallimento della monarchia.

Digital art by Ricardo Salamanca

Digital art by Ricardo Salamanca

[…] «Che mio figlio non dimentichi mai le parole di suo padre… non tenti mai di vendicare la nostra morte. […] Adieu, mia buona e tenera sorella; che questa lettera possa giungere fino a voi! Conservate sempre il mio ricordo; vi abbraccio con tutto il cuore, insieme a quei poveri, amati figli. Mio Dio, solo lacerata al pensiero di abbandonarli per sempre».

Clip del film

Clip del film “Les Adieux à la Reine”, diretto da Benoît Jacquot e basato sul romanzo “Addio mia regina” di Chantal Thomas, ambientato nei primissimi giorni della Rivoluzione francese.

Chantal Thomas - Addio mia Regina, pag. 24

Chantal Thomas – Addio mia Regina, pag. 24

FONTE:

  • A. Fraser, Maria Antonietta – La solitudine di una regina (Oscar Storia Mondadori)

* La figura di Maria Antonietta ha ispirato il mio saggio I processi a Luigi XVI e Maria Antonietta – Dal trono al patibolo – giunto nel 2017 alla seconda edizione e disponibile anche in ebook – il quale analizza dal punto di vista giuridico i dibattimenti che gli ultimi sovrani dell’Ancien Régime dovettero affrontare in pieno clima rivoluzionario. QUI il blog di Francesca Rossi “Divine Ribelli” ha dedicato al libro una bellissima recensione, proprio in questo giorno così carico di significato *

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Ieri, in una fotografia

06 lunedì Ott 2014

Posted by Giorgia Penzo in Pensieri, Quel che oggi ormai è storia

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foto, fotografia, fotografie, New York, nostalgia, passato, persone, Roma, storia

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“La nostalgia è negazione, negazione di un presente infelice. E il nome di questo falso pensiero è sindrome epoca d’oro, cioè l’idea errata che un diverso periodo storico sia migliore di quello in cui viviamo. Vedete, è un difetto dell’immaginario romantico di certe persone che trovano difficile cavarsela nel presente”.

Quando m’imbatto in ritratti d’epoca mi piomba addosso una strana nostalgia. Strana perché non ho motivo di averne, dal momento che non ho vissuto nell’Ottocento (mi sembrava carino specificarlo).
Eppure sta lì, dietro il cuore. Fa capolino dal nulla quando vedo carrozze, ombrellini parasole, abiti lunghi, bastoni da passeggio, gentiluomini e gentildonne passati a miglior vita da un pezzo.
È una sensazione diversa da quella che mi prende quando osservo un quadro che mi piace. La fotografia coglie un istante di vita non interpretata, diverso dall’ideale rappresentato su una tela.

Fifth Avenue in front of the Plaza, 1898. (NYC)

New York City, 1883

New York City, 1883

Roma, 1895

Roma, 1895

Roma, Villa Borghese. 1864

Roma, Villa Borghese. 1864

Alcune sembrano addirittura finte, costruite ad hoc come quelle che ti propinano ai parchi divertimenti. E bisogna fare uno sforzo per comprendere alcune cose. Ad esempio che le pose immortalate su un cartoncino dagli angoli molli – scovato in soffitta o al mercato dell’antiquariato – appartenevano a una vita vera, piena di persone reali. Il passato è più vicino a noi di quanto pensiamo.
Ecco allora la meraviglia delle smorfie seriose – catturate, non dipinte – che hanno più di centocinquant’anni.
Del rumore della pioggia sopra un calesse. Lo si può quasi vedere.
Dei vestiti ingombranti, preziosi, che non si possono indossare senza l’aiuto di qualcuno.
Delle amicizie che, anche a distanza di secoli, non finiscono mai.

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New York, 1870

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Deal, Kent. 1899

Deal, Kent. 1899

Ciò che noi fingiamo d’essere e interpretare – magari a carnevale o una festa a tema – una volta era la quotidianità. Non è poi così scontato. Io faccio ancora fatica a crederlo. I romantici vedono soltanto i lati positivi delle epoche che furono. E probabilmente è proprio perchè non possiamo tornare indietro per toccare con mano che ci concediamo il lusso di immaginarcele come ci pare. Senza gli odori pungenti, le malattie, le scomodità, le difficoltà giornaliere.

Dopotutto qualcuno ci ha vissuto davvero laggiù, nel passato. E se è un sorriso genuino a uscire dal bianco e nero, beh, allora non doveva essere poi così male.

Loveday-Lemon

Per chi volesse approfondire:

  • Consiglio cinematografico per coloro che sentono di appartenere a un altro tempo: Midnight in Paris (Woody Allen)
  • La pagina Facebook Avere nostalgia di epoche mai vissute, dove trovare conforto.

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