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Al giorno d’oggi fotografare un bambino e ottenere un risultato soddisfacente non è poi un’impresa così ardua.
Viviamo nell’era degli smartphone e delle fotocamere digitali: non consumiamo pellicola, il click dell’otturatore è immediato e spesso la qualità dell’immagine è molto alta. La scarichiamo sul pc, ottimizziamo l’esposizione con un programma di fotoritocco gratuito, e il gioco è fatto.
Se il nostro pargolo piange, sbatte le palpebre, si contorce, non sta fermo, si addormenta o sbava, pazienza; possiamo rimandare, o scattare quasi all’infinito fino a che non otteniamo la foto perfetta da tenere con noi in ufficio.

Ma per un genitore del 19° secolo era molto più complicato avere una foto del proprio bambino.
La gentildonna di turno avrebbe dovuto vestire il figlio con l’abito inamidato più bello del corredo, trasportarlo insieme ai suoi (numerosi) fratelli nello studio fotografico più vicino – possibilmente la mattina presto quando c’era la luce migliore – e magari organizzare un gruppo famigliare che facesse da contorno; quindi obbligare tutti a stare completamente immobili per 30 secondi o giù di lì, spendere una discreta somma di denaro e attendere diversi giorni per ricevere le copie del prodotto finito, da mandare poi ad amici e parenti o da tenere nell’album di famiglia.
Ora, convincere un adulto a stare impassibile per mezzo minuto per permettere all’immagine d’imprimersi sul collodio umido era una sfida.

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Aspettarselo da un bimbo o da un neonato era praticamente impossibile. Insieme agli anziani – irritabili e traballanti – i bambini erano i soggetti più difficili da immortalare. I fotografi dell’epoca avevano infatti bisogno di molta luce e pazienza. Servivano 18-30 secondi d’immobilità per ottenere un negativo chiaro.

Per questo motivo ovviarono al problema con un escamotage tanto infallibile quanto inquietante: l’unico modo per riuscire ad avere un’immagine nitida e rilassata del bambino era che questi fosse in braccio o vicino alla sua mamma; ma dal momento che il desiderio era quello di ritrarre unicamente il figlio, le madri si nascondevano sotto drappi scuri nel tentativo di mimetizzarsi con il fondale.

Il risultato è una sfilza di frugoletti senza sorriso, accomodati su sedie dall’aspetto strano oppure appoggiati a bozzi floreali senza forma che in realtà sono le loro madri.
Anche se le immagini risultano essere abbastanza definite, a causa del processo fotografico in voga sul finire del 1800 hanno tutte un aspetto un po’ spettrale: i bianchi non sono bianchi ma una sorta di beige incombente, e le oscure figure drappeggiate delle donne sullo sfondo fanno sembrare il bambino e la madre in bilico tra un mondo e l’altro.

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Queste immagini sono toccanti per un’infinita serie di ragioni, ma anche perché pochissime mostrano bambini con espressioni felici. Il sorriso di un bambino è troppo naturale e volatile per sopportare tempi d’attesa tanto lunghi; così i fotografi chiedevano (a loro e a tutti quanti) di fissarsi in un’imperscrutabile espressione di saggezza ben più facile da tenere.

Alla Festa della Mamma si festeggiano tutte le mamme, nessuna esclusa, anche quelle che quasi 150 anni fa stavano nascoste sotto pesanti tende broccate per far sì che i figli avessero un ricordo della propria infanzia. E mentre tutti – dal fotografo ai propri cuccioli – erano seri e concentrati, lì sotto, dove nessuno poteva vederle in viso, sicuramente sorridevano.

Fonte: The lady vanishes: Victorian photography's hidden mothers